Le aziende emiliano romagnole sentono la crisi, ma continuano ad investire. Lo dice Confindustria regionale

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È stata presentata l’Indagine sugli investimenti delle imprese industriali dell’Emilia-Romagna, realizzata da Confindustria Emilia-Romagna insieme alle Associazioni e Unioni Industriali della regione: uno strumento che consente di fare il punto sulle scelte di investimento realizzate l’anno scorso, sugli investimenti per il 2019  e sui principali fattori che ne ostacolano la realizzazione.

L’indagine, giunta alla ventesima edizione, si è avvalsa quest’anno del contributo scientifico di Prometeia e ha visto il coinvolgimento di circa 600 imprese appartenenti al settore manifatturiero, con un fatturato complessivo intorno ai 20 miliardi di euro e un totale di oltre 63.000 addetti.

La propensione ad investire delle imprese della nostra regione è alta: il 92,3% delle imprese ha realizzato investimenti nel 2018 e il 92% prevede investimenti per l’anno in corso, a livelli vicini al massimo storico.

«Gli investimenti −  dichiara il Presidente di Confindustria Emilia-Romagna Pietro Ferrari −   hanno un ruolo essenziale per la crescita del sistema industriale, l’espansione economica e lo sviluppo del Paese. L’aumento della concorrenza internazionale, il ridimensionamento della domanda interna, le nuove tecnologie hanno imposto alle aziende il ricorso a strategie aziendali di sviluppo più evolute per restare sul mercato. Ogni impresa ha una propria strada e un proprio approccio, ma oggi investire, innovare e internazionalizzarsi sono scelte indispensabili”.

“La politica industriale −  prosegue il Presidente Ferrari −  è fondamentale per mettere le imprese in condizioni di competere in un quadro sempre più complesso. Servono una visione chiara di medio lungo periodo, priorità precise, risorse certe e strumenti continuativi. In un contesto in cui il traino dell’export non è sufficiente a garantire solidità alla crescita, anche per la forte variabilità del commercio mondiale, una forte spinta e accelerazione agli investimenti pubblici e privati può favorire il rilancio della domanda interna, la crescita della produttività, dell’occupazione, dei redditi delle famiglie».

Nell’ultimo decennio, dal 2007 al 2018, le imprese dell’Emilia-Romagna hanno registrato una crescita a ritmi sensibilmente più dinamici rispetto alla media del Paese. Il fatturato è cresciuto a tassi tre volte superiori rispetto alla media nazionale: +2,8% medio annuo contro 0,9% nazionale.

La propensione ad investire è strutturalmente più elevata, con un divario che si è accentuato negli ultimi anni: la quota di investimenti sul valore della produzione è del 6,6% in Emilia-Romagna nel 2018, superiore rispetto a quella che caratterizza le imprese sul territorio nazionale (6% nel 2018), con un divario che si è ampliato dal 2016 ad oggi.

La capacità di autofinanziamento è più alta della media nazionale: nell’ultimo biennio 2016-18 il cash flow delle imprese dell’Emilia-Romagna sulla produzione è pari al 7,7%, contro il 6,8 della media italiana. Anche la redditività industriale è superiore: nel biennio le aziende della regione registrano una redditività media del 9,9%, a fronte della media nazionale del 7,5%.

Le aziende emiliano-romagnole si mostrano reattive all’andamento del ciclo economico e agli incentivi, confermando scelte di investimento orientate prevalentemente su aspetti di natura produttiva e organizzativa/gestionale. Nel 2018 il 60% delle imprese ha effettuato investimenti in  formazione,  il 54,6 in ICT, il 53,3 in ricerca e sviluppo e il 53,3 in linee di produzione.

Rispetto al pre-crisi emerge un’evoluzione delle strategie di investimento verso una maggiore complessità, che si traduce in un incremento della diversificazione degli ambiti di investimento. Tutte le classi dimensionali hanno diversificato gli investimenti, ed è rilevante che nell’ultimo decennio la percentuale di piccole imprese che investono in un solo ambito si sia ridotta dal 42 al 17%.

L’indagine rileva una maggiore propensione all’investimento rispetto al passato da parte delle piccole imprese, dovuta alla necessità di rafforzare il posizionamento competitivo per restare sul mercato.

Per quanto riguarda gli ostacoli alle decisioni di investimento, sono tre gli aspetti di particolare importanza. La burocrazia torna ad essere il principale ostacolo ad investire, segnalato dal 33,1% delle imprese.  Questo fattore critico è continuato ad aumentare negli anni ed è particolarmente sentito dalle imprese con elevata propensione ad investire, attive principalmente in settori a forte regolamentazione, quali alimentare e costruzioni.

Tra i fattori congiunturali, la domanda attesa è il vincolo più stringente segnalato dal 31,1% degli imprenditori. L’incertezza e la volatilità del quadro economico riattivano la cautela degli imprenditori nell’avvio di nuovi piani di investimento. Il peggioramento delle aspettative sulla domanda è sentito soprattutto dalle piccole e medie imprese, caratterizzate da ritmi di crescita e condizioni di redditività inferiori rispetto alla media delle imprese regionali.

Il terzo fattore di ostacolo in ordine di rilevanza è legato alla criticità nel reperire risorse umane, segnalato dal 27,1% delle imprese. Particolarmente coinvolte sono le aziende del settore della meccanica e dell’elettrotecnica, che ricercano figure specializzate.

Dall’indagine emerge infine l’identikit dei forti investitori, ovvero il gruppo di imprese che hanno investito nei primi quattro ambiti relativi a ricerca e sviluppo, formazione, ICT e linee di produzione.

A questo proposito Alessandra Benedini, Senior Specialist di Prometeia, segnala che dall’analisi emerge come «i forti investitori siano in prevalenza – anche se non unicamente – aziende di dimensioni grandi e medio grandi, caratterizzate da una capacità innovativa molto superiore alla media regionale e un buon livello di managerializzazione. Questi elementi hanno consentito a questo nucleo forte di imprese di conseguire negli ultimi anni buoni risultati di crescita e redditività, grazie anche alle positive performance registrate sui mercati internazionali, presidiati stabilmente con succursali, come testimoniato dall’elevata quota di fatturato realizzata all’estero».

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