“Profili cuciti di santità”: a colloquio con Lucia Bubilda Nanni in margine alla sua mostra a Forlì

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Ammirare un’opera di Lucia Nanni, in arte Bubilda, è come osservare una foglia in controluce. In quell’intrico di minuscoli capillari vegetali, fragili e delicati, svelati in filigrana dalla luce, può capitare di leggere delle figure, per una specie di misteriosa pareidolia. Figure preziose, filiformi, che paiono sempre sul punto di sfaldarsi e scomparire di nuovo nel reticolo caotico da cui sono emerse. Le opere della Nanni sono leggere, eteree, come in attesa di un soffio improvviso di vento che ne scompigli l’ordito, confondendone i fili e rendendole di nuovo illeggibili. Ed è proprio la fragilità di questo equilibrio compositivo la vera forza della sua arte: è come se le sue figure si fossero guadagnate la presenza sulla tela facendosi strada, con delicata perseveranza, in mezzo al disordine che le compone, e fossero diventate per questo più forti.

È lo stesso disordine fecondo che si ritrova in Bubilda, artista ravennate classe ’76, quando vince la timidezza e inizia a raccontarsi. Tesse le sue frasi velocissima; apre parentesi su parentesi, sembra perdersi in un intrico di sottintesi e aneddoti superflui: e quando ti sembra di esserti perso, ecco che, come Arianna, Lucia ti porge un filo e ti orienta di nuovo. Profili cuciti di santità è la sua ultima mostra personale, visitabile fino al 4 ottobre nei luminosi spazi della Fondazione Dino Zoli di Forlì (per info: fondazionedinozoli.com), curata con intelligenza ed equilibrio da Nadia Stefanel. L’arte “cucita” della Nanni ha colpito i curatori della Dino Zoli Textile, che hanno deciso di dedicarle questo affondo nell’ambito del progetto Who’s Next, palestra dedicata agli artisti emergenti. La mostra raccoglie le prime tre “Annotazioni” (e questo termine gesuitico, come vedremo, ha una sua valenza precisa e importantissima) di un progetto artistico che Bubilda porta avanti dal 2017, dedicato al rapporto fra isteria e misticismo.

Con l’avvento della psicanalisi nel Novecento, sempre più frequentemente si è avuta la tentazione di spiegare i comportamenti delle sante mistiche dell’epoca moderna e pre-moderna attraverso le categorie della patologia. L’estasi di Teresa d’Avila; l’auto-mortificazione di Rosa da Lima; l’ascetismo rigidissimo, al limite dell’auto-annientamento, di Maria Egiziaca: tutto questo è stato brutalmente ricondotto a un mero problema isterico – tanto più che si trattava di donne sole, e spesso in profondo conflitto col proprio milieu. Il sapere post-illuminista non poteva accettare le spiegazioni religiose di questi fenomeni, ritenute ingenue o frutto di superstizioni popolari, e preferiva rubricare i comportamenti di queste sante sotto l’ampia etichetta delle patologie psichiche, e in particolare dell’isteria, comportamento femminile per eccellenza.

Il lavoro della Nanni parte da questo problema. Come spiega lei stessa nella presentazione del suo progetto: “voglio verificare se questa isteria è veramente patologia o non piuttosto qualcosa di irriducibile al discorso patologico psicanalitico”. La chiave artistica per esplorare questa dicotomia è stata quella di calare nella contemporaneità queste figure mistiche, trovando di volta in volta modelli “tra i vivi”, come dice Bubilda.

Così le tre “sante” vengono impersonate, per motivi precisi e circostanziati, da altrettante donne conosciute realmente da Bubilda. Maria Egiziaca diventa Alos, musicista naturalizzata ravennate, cantante e performer del gruppo OvO assieme a Bruno Dorella; Rosa da Lima è Francesca Viola Mazzoni, attrice e scrittrice ravennate; Teresa d’Avila e il suo confessore, Giovanni della Croce, sono rispettivamente Rebecca Bernasconi ed Elia Tazzari, camminatori.

In un continuo rompicapo fra passato e presente, la Nanni cerca tracce di quei comportamenti mistici o patologici nei suoi avatar odierni. E lo fa con la consueta delicatezza, nascondendosi dietro le sue meravigliose maschere fatte di fili e tessuti. Allo stesso modo mi ritraggo anch’io, lasciando che siano le immagini e l’artista stessa a parlare, e facendo scorrere le sue parole senza bisogno di domande, proprio come avviene parlando con Bubilda.

MARIA EGIZIACA

Bubilda

Dice Bubilda: “Stefania Pedretti, in arte Alos, è la persona più radicale che io conosca. Il suo veganesimo diventa quasi totemismo, è una vera e propria religione, fatta di regole rigidissime. Fa parte della comunità LGBT, organizza festival; in pratica difende questa sua scelta culturale giorno per giorno. Ed è stata una scelta difficile, come mi ha raccontato: cresciuta in un piccolo paese della Brianza, ha deciso di staccarsi dalla sua famiglia, che era molto cattolica. Come dice Elèmire Zolla, intellettuale che stimo moltissimo, il mistico è uno che se ne va dalla propria comunità per fondarne una sua. Così Alos è diventata la mia Maria Egiziaca, archetipo della solitudine, che secondo le leggende scappa di casa, è costretta a fare la prostituta per mantenersi e poi, dopo aver incontrato un gruppo di pellegrini, decide di redimersi vivendo nel deserto per più di 40 anni, in una pratica continua di preghiera e penitenza. Si dice che avesse capelli bianchi lunghissimi, che come la lana la coprivano e le facevano da vestito; esattamente come i dreadlocks di Alos. E si racconta anche che un leone abbia scavato la fossa di Maria Egiziaca con le sue zampe: io ho usato il colore per raccontare questa metamorfosi quasi leonina, nell’ultimo pezzo della prima Annotazione.”

Bubilda

ROSA DA LIMA

“Prima ho scelto le figure delle sante. Dopo la religiosità selvaggia di Maria Egiziaca, volevo rappresentare esperienze di vita al femminile del periodo post-tridentino. Volevo sapere come la Controriforma, che è stata una vera e propria rivoluzione (pensiamo solo al barocco), avesse modificato l’esperienza di vita di un religioso e i modi del culto. Dopo Lutero, la religione cattolica deve riconquistare le masse. E come si conquista una massa? Oggi mi vengono i mente i venditori di case, oppure, in grande, Bill Gates. Quelli che devono pescare gli uomini. La Controriforma, con le reliquie, il barocco, il design, perché è in questo periodo che nasce il design, è un’opera totale, alla Wagner. Una visione del mondo. Mi sono chiesta: chi deve conquistare il fedele, che tipo di esperienza ha? L’esperienza protestante, nata in un grande anelito di libertà di coscienza, si chiudeva in un rigore assurdo; la cristianità si rivolge invece al pensiero carnale, alla vita in atto. E queste figure femminili eccezionali diventano quasi figure di spettacolo. Non a caso Teresa di Lisieux, a cui dedicherò in futuro un’altra Annotazione, faceva spettacoli di teatro dentro i monasteri. La dimensione isterica spesso scorre in quella istrionica, come succede ad esempio per Francesca Viola Mazzoni.”

Bubilda

“Lei è diventata la mia Rosa da Lima, una bambina che rifiuta la sua condizione agiata con l’uso del dolore verso il proprio corpo. Si racconta che da bambina usava cingersi la fronte con una corona martoriante e si tirasse sassi sui piedi pur di non prendere la carrozza. Mi ha colpito la sua intransigenza, e il fatto che la violenza la usasse sempre contro se stessa, per tenersi aperta all’ascolto degli ultimi, come gli indios. Così Francesca, che ha sofferto gravemente di depressione fin dall’adolescenza: nel suo corpo silenzioso ho visto lo stesso urlo di Rosa. Tutte queste sante oggi sarebbero considerate ragazzine capricciose? È un fatto che moltissime siano morte molto giovani, e che durante il periodo puberale si siano identificate direttamente con dio. È naturale poi allontanarsi dagli altri esseri umani, perché alla fine li vedi sotto di te, come esseri profondamente imperfetti. È un complesso classico: il tuo riferimento è talmente alto che ti fa schifo quello che hai attorno.”

“Io non giudico le mie figure. Sono in un costante atteggiamento di epoché. La mia emozione la esprimo tutta nel disegno, è quella la mia ossessione. Io cerco di comporre, tutto qui. Proprio perché vivo in questi opposti, apollineo e dionisiaco, io ho bisogno di ricomporre i contrasti. Per me un’opera è finita quando avverto un sentimento domato, la rabbia domata. Non puoi sentire la rabbia mentre osservi. L’unico sentimento esplosivo che ho messo in queste tele è il cagnolino Ernesto di Francesca che apre la bocca: ma è protetto dal corpo materno della santa. Io non abbandono nessuno in un grido. Ne ho bisogno, prima di tutto, io stessa. L’espressionismo più crudo non fa per me: Georg Baselitz e i suoi dipinti rovesciati, Arnulf Rainer e i suoi graffi sulle fotografie. Posso sopportare il dolore trasmesso attraverso un gesto, come in un grido muto, ma mai la sofferenza esposta. Io vedo in giro troppa pornografia, troppa esposizione. Quando vedo un essere umano denigrato, sofferente, divento protettiva.”

Bubilda

TERESA D’AVILA

“Nel 2017 ho cominciato a seguire sui loro social il racconto del cammino di Elia Tazzari e Rebecca Bernasconi da Londra a Gerusalemme. Ho rivisto in loro i modelli per i miei Teresa D’Avila e il suo confessore, Giovanni della Croce. Teresa era una camminatrice instancabile: non la fermava nulla, neve, tempesta… Percorreva la Spagna del 1500 con una spinta quasi leonina, nella ricerca continua di nuovi luoghi dove fondare i suoi conventi. L’ossessione quasi mistica del cammino di Elia e Rebecca mi ha ispirato e ho deciso di ritrarre Teresa e Giovanni nella sensualità del riposo spirituale dopo la fatica del cammino del corpo. Quasi tutte le mistiche avevano un confessore. Era uno sguardo maschile (la norma) che osservava la rottura di quella norma (il femminile mistico), che a sua volta diventava fondatrice di una nuova norma e di un culto. Non dimentichiamo che il culto popolare ha sempre avuto una funzione sociale importantissima, almeno dal tempo dei greci e della loro kàthartis per la buona convivenza sociale…”

Bubilda

“Il senso di colpa è essenziale nella dialettica del desiderio. Le mistiche si sposano con Cristo, gli donano il cuore; ma allo stesso tempo si sentono mancanti in qualcosa rispetto alla sua perfezione. Ogni dolore, ogni sofferenza diventa per loro un godimento, perché sentono su di loro il peso della Croce. C’è questa forma ossessiva dell’Idea, che torna e ritorna sempre. Teresa d’Avila fin da piccola ha la fissazione di andare a Gerusalemme per fare la Guerra Santa. Da piccola legge i romanzi degli hidalgos, Don Chisciotte, tutti libri proibiti e terreni; e il senso di colpa per essersi “sporcata” con queste letture lo conserverà per tutta la sua vita, anche dopo le famose estasi. Oggi una cosa simile la rivedo in Greta Thunberg: una visione del mondo talmente dicotomica che è quasi inaccettabile per qualunque altra persona. E anche Alos è un po’ così, nella mia visione.”

“Non ho mai fatto lavori completamente autobiografici, ma in un qualche modo mi sono ritratta in tutte le figure. L’ultima tappa di queste Annotazioni, la settima, sarà su di me. Confesso che il tema lo sento molto vicino. Fin da piccola ho sofferto di attacchi di panico e di crisi isteriche. Li senti tutti nel ventre, con spasmi anche molto forti… Ho gli addominali fortissimi! Il mio corpo faceva un po’ come voleva lui, e sono continuati dai 14 ai 27 anni. Poi, quando è nato mio figlio, sono rallentati. Sono diventati manifestazioni socialmente controllabili.”

“Continuerò a sperimentare sempre. I tessuti che uso sono sempre pezzi unici. Spesso lavoro con la canapa a telaio prodotta negli anni ’50 o ’60: non c’è un pezzo uguale all’altro. E poi c’è la mia macchina da cucire, che ormai vive di vita propria. Sperimento il fatto che a volte è stanca, e le devo cambiare qualche pezzo. È una vita in comune, la nostra…” conclude Bubilda.

a cura di Iacopo Gardelli

Bubilda
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