Fridays for Future Forlì. Presidio lungo via delle Torri per dire no al CCS di Ravenna

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“Ieri, venerdì 18 dicembre, a livello nazionale i gruppi di Fridays for Future si sono mobilitati in un’azione coordinata contro il progetto di Eni di costruire un impianto per la cattura e lo stoccaggio di CO2 nell’Adriatico, nei giacimenti di Ravenna. Anche a Forlì abbiamo organizzato un presidio statico e distanziato lungo via delle Torri, e abbiamo raccontato alla cittadinanza cosa si nasconde dietro al CCS di Ravenna” riporta la nota di Fridays for Future Forlì.

“Benché Eni – l’azienda italiana più inquinante e responsabile di 41 milioni di tonnellate di gas serra emesse ogni anno – stia tentando di presentare questo progetto come “green” – prosegue la nota -, basta poco per smascherare i suoi reali obiettivi: ha infatti dichiarato che al 2050 continuerà ad essere ancorata ai combustibili fossili, poiché l’85% della sua produzione sarà legata al metano. Nessun progetto green o di riconversione ecologica, quindi, ma un subdolo piano di greenwashing. E, secondo indiscrezioni, ha persino chiesto 12 miliardi del Next Generation EU, denaro che dovrebbe invece essere subito investito in progetti di reale e sicura riconversione energetica, cioè nelle fonti rinnovabili. Innanzitutto, questa tecnologia non risolve i problemi: ad oggi il più grande impianto di CCS riassorbe solo 700mila tonnellate di CO2 all’anno, ma secondo la comunità scientifica dovremmo riassorbirne 42 miliardi ogni anno per rimanere sotto 1,5 °C di riscaldamento globale. Cioè più o meno il totale delle emissioni dell’industria fossile. L’unica soluzione efficace a lungo termine è smettere di essere dipendenti dai combustibili fossili!”.

“In più, è estremamente costosa ma poco efficiente – spiega Fridays for Future -. La Norvegia ha già definito il CCS un investimento disastroso e l’UE ha già abbandonato tutti i progetti avviati negli ultimi anni per testare questa tecnologia. E intanto noi rischiamo che i soldi pubblici vengano usati per un progetto privato che danneggia la collettività. Inoltre si tratta di una falsa soluzione green: contribuirebbe a eliminare solo una quantità irrisoria di CO2, giustificando ENI a mantenere vivo il mercato del fossile almeno per altri 30 anni ed emettere sempre più gas climalteranti in atmosfera. Ricordiamo che l’azienda investe ogni anno oltre 400 milioni in ricerca di nuovi pozzi di idrocarburi e 6,53 miliardi nello sviluppo dei propri giacimenti. Infine è una tecnica estremamente pericolosa per l’ambiente e per l’uomo: in caso di fuoriuscite di CO2 in mare, si avrebbe un’acidificazione dell’ambiente marino con conseguente compromissione dell’ecosistema; in caso di fuoriuscite di CO2 sulla terraferma, essendo questo gas più pesante dell’aria, ristagnerebbe a livello terreno, causando l’avvelenamento di animali e persone. Ci sono anche studi scientifici che evidenziano che il CCS potrebbe causare terremoti indotti nelle aree di stoccaggio”.

“È partita la campagna nazionale “No CCS – Il futuro non si (s)tocca”. Questa mobilitazione è stata solo l’inizio: non siamo disposti a restare a guardare mentre viene ipotecato il nostro futuro e il profitto di pochi viene messo prima della salute di tutte e tutti” termina la nota.

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