ROMAGNA E ROMAGNOLI NEL MONDO / 7 / Maroncelli e Foresti, dalla Romagna allo Spielberg e poi “rifugiati politici” in America

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A partire già dai primi dell’Ottocento e per diversi decenni, molti esuli e fuorusciti italiani raggiunsero l’America per motivi “politici”. Dai reduci delle Armate napoleoniche ai Carbonari, dai membri della mazziniana Giovine Italia agli intellettuali e combattenti risorgimentali, in centinaia approdarono nel Nuovo Mondo non solo per sfuggire ad avversi destini che li riguardavano in  patria, ma anche per spostare la battaglia politica ed ideologica laddove era possibile, creando così una sorta di “fronte atlantico” libertario e repubblicano improntato su intenti, pensieri ed azioni che assunsero portata ed estensione trans-nazionale e trans-continentale, tanto da ripercuotersi poi, nel corso di tutto il secolo, sulle vicende e sui destini di molti Paesi al di qua e al di là dell’oceano.

New York

New York nei primi decenni dell’Ottocento

Questi esuli non interruppero mai uno scambio e un collegamento con la madrepatria, e ciò ebbe grande portata. L’«eco americana» giungeva da noi sorreggendo movimenti e iniziative (ricordiamo i carbonari romagnoli che si facevano chiamare “Americani” o “Cacciatori americani” che si riunivano segretamente nelle pinete ravennati, accogliendo tra di loro, dal 1819, il sopraggiunto Lord Byron), così come gli eventi italiani ed europei non mancavano di suscitare un certo interesse oltreoceano. Nel 1836 la rivista «The American Monthly Magazine» recensiva La mei prigioni di Silvio Pellico come «una delle opere più illustri del nostro tempo» e annoverava il suo autore tra le menti «più nobili e talentuose» del XIX secolo. Successivamente, «The American Quarterly Review» definiva i sopravvissuti dello Spielberg (la fortezza-prigione asburgica in cui languirono diversi patrioti italiani, alcuni dei quali erano approdati nel Nuovo Mondo) «un acquisto per qualsiasi nazione» e li celebrava quali uomini «degni del nostro rispetto».

Fra i reduci dello Spielberg c’era il forlivese Pietro Maroncelli (musicista, poeta, memorialista, patriota), che aveva condiviso la detenzione con Silvio Pellico e che del libro di questi era fra i personaggi principali. La sua biografia pre-americana è troppo nota per essere riproposta; diciamo solo che era nato da famiglia abbiente a Forlì nel 1795, aveva studiato musica nel conservatorio di Napoli, era stato affiliato alla loggia massonica “Colonna Armonica” da cui era stato espulso nel 1813 aderendo due anni dopo alla Carboneria. Scoperto, era stato arrestato nel 1819. Rilasciato dopo alcuni mesi, era stato ospite a Pavia del fratello Francesco, medico e patriota anch’esso; trasferitosi poi a Milano, vi si era mantenuto dando lezioni e lavorando per lo stabilimento musicale Ricordi.

Pietro Maroncelli

Ritratti di Pietro Maroncelli

Scoppiata la rivoluzione di Napoli, si era messo in contatto con diversi liberali per propagandare la creazione di una federazione di tutti gli Stati italiani; nell’occasione aveva incontrato Silvio Pellico, con cui aveva stretto amicizia. Pellico era stato da lui convinto ad iscriversi alla Carboneria; perciò, quando Maroncelli venne arrestato il 6 ottobre 1820, fu compromesso anch’egli, perché al compagno erano state trovate carte rivelatrici. Imprigionato e detenuto prima a Milano, poi a Venezia, Maroncelli nel 1822 fu condannato a morte, ma l’imperatore commutò la pena in 20 anni di carcere duro per lui e in 15 per Pellico, da scontare nella fortezza dello Spielberg, in Moravia, dove giunsero il 10 aprile dello stesso anno.

Lettura condanna Maroncelli

La lettura pubblica della condanna a Maroncelli e a Pellico

La cella di Maroncelli e Pellico

La cella di Maroncelli e Pellico nel carcere dello Spielberg

In cella Maroncelli si era ammalato di un tumore al ginocchio sinistro, che aveva portato all’amputazione dell’arto. Il 1º agosto 1830, dopo una detenzione durata 10 anni, era giunta la grazia sia per lui che per Pellico; ma lo Stato Pontificio (Maroncelli era infatti tornato a Forlì) era terreno minato per un liberale con i suoi “precedenti”, e dopo alcune settimane gli era stato impartito l’ordine di lasciare il Paese. Si era quindi spostato in Francia. Dopo tre anni di soggiorno a Parigi, nel 1833 si era trasferito con la moglie Amalia Schneider in America, a New York.

È qui che inizia il capitolo della sua vita che qui più ci interessa, e che di seguito ripercorriamo avvalendoci soprattutto di un’ottima sintesi analitica operata nel 2014 da Sara Samorì in un articolo (Il “caso” Maroncelli. Organizzazione del consenso e vincoli massonici nell’Italia radicale e nella New York della Tammany Hall, 1840-1890) pubblicato on-line dall’Archivio Storico dell’Emigrazione Italiana.

New York

Rappresentazione di New York nell’Ottocento

Maroncelli nei suoi anni americani, nonostante fosse segnato nel fisico dai postumi dell’amputazione e scivolasse lentamente verso altri problemi di salute (quando morì era praticamente cieco e soffriva di turbe nervose), non rinunciò ad essere attivo; maturò tra l’altro l’adesione alle idee del filosofo Charles Fourier, che propagò assiduamente attraverso la Fourier Society da lui fondata nel 1837 insieme ad altri seguaci del pensatore francese. A New York «riemerse dunque la sua vena progressista, tesa non solo agli ideali di libertà e indipendenza, ma anche di giustizia, progresso ed equità sociale: quelle del Fourier erano idee di socialismo molto avanzate per l’epoca, così pure le teorie misticheggianti dello Swedenborg», a cui Maroncelli si era avvicinato mettendo quindi in discussione la sua precedente esperienza politica, chiamandosi in qualche modo fuori dall’arcipelago che faceva riferimento, in particolare, a Mazzini. L’impegno profuso a favore del fourierismo occupò lungamente l’attività statunitense del Maroncelli, ma non gli fece mai trascurare il compito di aiutare i compatrioti. Si distinse infatti nell’attività di accoglienza e fratellanza verso gli altri esuli italiani in America; nel 1839 fu co-fondatore di un’organizzazione denominata «Società Italiana di Unione, Fratellanza e Beneficenza», allo scopo di offrire ai propri connazionali un punto di riferimento e di soccorso. L’esperienza americana di Maroncelli, che coincise con gli ultimi anni della sua vita, fu dunque (per quanto possibile, date le sue precarie condizioni di salute) viva e impegnata, confortata da amicizie e da una discreta attività letteraria. Il suo ruolo nell’insegnamento della musica e della lingua italiana gli procurò il necessario con cui vivere. Si spense nel 1846 all’età di 50 anni. Nel 1886 i suoi resti mortali furono traslati a Forlì e tumulati solennemente nel Pantheon del Cimitero Monumentale cittadino.

Un altro romagnolo reduce dallo Spielberg che emigrò in America, ove fu amico e collaboratore di Maroncelli, fu Eleuterio Felice Foresti. Nato nel 1789 nel Comune di Conselice in provincia di Ravenna, probabilmente nella frazione di San Biagio (che allora faceva parte di quel Comune, mentre oggi ricade sotto Argenta), fu un intellettuale massone e carbonaro. A sedici anni, nel 1805, si arruolò temporaneamente nelle truppe napoleoniche. Nel 1809 si laureò in legge a Bologna, venendo in seguito, nel 1811, nominato dal Governo napoleonico giudice di pace a Crespino di Rovigo, carica che gli venne confermata dal Governo austriaco nel 1814. Diventò di quella località pretore nel 1818; avendo continuato l’attività “carbonara”, fu scoperto e arrestato dalla polizia austriaca nel 1819. Il 24 dicembre del 1820 scattò per lui la condanna a morte, che venne però commutata in 20 anni di carcere duro. Fu così condotto allo Spielberg, dove si ritrovò in compagnia di Pellico, Maroncelli e altri patrioti italiani.

Fortezza dello Spielberg

La fortezza-carcere dello Spielberg

Nel 1835 gli venne offerta la possibilità di scegliere tra la detenzione e l’espatrio perpetuo negli Stati Uniti: preferì la seconda opzione, e nell’agosto dell’anno seguente, 1836, venne imbarcato sul vascello Ussaro, con destinazione New York. In America trovò ad accoglierlo l’ex compagno di prigionia Pietro Maroncelli, che l’aiutò a inserirsi nella nuova realtà. Anche grazie a lui, già nel 1838 ottenne la cattedra di Lingua e Letteratura Italiana presso il Columbia College, e successivamente ebbe un eguale incarico anche dalla New York University. Divenne cittadino statunitense nel 1841, cambiando il proprio nome di battesimo in Felix, e nello stesso anno costituì la Congrega centrale della Giovine Italia per l’America del Nord, di cui divenne presidente. Si distinse per l’attivismo a favore della causa libertaria italiana, sia attraverso raccolte di fondi, sia nel continuo ruolo di collegamento fra gli italiani d’America e nei costanti contatti con personaggi quali Mazzini,  Garibaldi e Cavour.

Felice Foresti

Ritratto di Eleuterio Felice Foresti

Foresti tornò in Italia nel 1856; intanto si era staccato dal Mazzini, schierandosi con quel gruppo di patrioti che facevano capo al Manin e al Pallavicino, favorevoli alla politica di Cavour. Morì a Genova, dove si era appena insediato come console statunitense, il 14 settembre del 1858. Colto, intelligente, dotato di acuto spirito critico, Foresti non lesinò, esprimendo dolente disincanto, critiche alle politiche napoleoniche prima e a certi aspetti del mazzinianesimo poi, ma mantenne sempre viva e salda la fede risorgimentale dell’indipendenza e dell’unità d’Italia.

Targa per Foresti

PER APPROFONDIRE

A.H. Lograsso, Piero Maroncelli in America, in «Rassegna storica del Risorgimento», XV (1928), pp. 894-941.

L. Cetti, Piero Maroncelli. Lettere dall’America, 1834-1844, in «Il Risorgimento», 45, 3 (1993), pp. 336-421.

Piero Maroncelli: l’itinerario di un romantico dalla Carboneria al Fourierismo, nell’età della Restaurazione, a cura di Flavia Bugani, Comune di Forlì, Forlì 1997.

S. Candido, L’azione mazziniana nelle Americhe e la Congrega di New York della “Giovine Italia” (1842-1852), in «Bollettino della Domus mazziniana», XVIII (1972), pp. 139-175.

L. Garotti, E. Felice Foresti. Cenni biografici, F.lli Lega, Faenza 1951.

A. Varni, Alle origini del partito risorgimentale. Il caso di Felice Foresti tra carboneria, mazzinianesimo e adesione alla Società Nazionale, in «Il Risorgimento», XXXV [1983], pp. 236-258.

G. Ferro, Eleuterio Felice Foresti: un astro dimenticato del Risorgimento italiano, [R. Colombo], Roma 1991.

M. Isabella, Risorgimento in exile: Italian émigrés and the liberal international in the post-Napoleonic era, Oxford University Press, Oxford 2009.

A. Bistarelli, Gli esuli del Risorgimento, Il Mulino, Bologna 2011.

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