ROMAGNA E ROMAGNOLI NEL MONDO / 15 / Francesco Nannini dalla Romagna toscana al ristorante “À la carte” del Titanic

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È una notte fredda e limpidissima. Non c’è luna, ma il cielo è così pieno di stelle da dare le vertigini. Le ha ammirate, prima, quando è uscito per un attimo a respirare una boccata d’aria. È la notte tra 14 e 15 aprile del 1912, sono da poco passate le ore 23.30 e il ristorante di prima classe À la carte (che tutti chiamano anche il Ritz) ha appena chiuso. C’è stata la cena di gala in onore del capitano Edward John Smith: una cena di grande pregio, come del resto è d’obbligo nell’unico ristorante del Titanic in cui si paghi, come dice il nome del locale, à la carte, cioè scegliendo da un sontuoso menù senza approfittare del “tutto compreso” proposto dalla Compagnia ai viaggiatori.

Nella sala, come nell’adiacente Café Parisien, sono passati durante la serata tutti gli ospiti più ricchi e importanti della nave, che sono anche tra gli uomini più ricchi e importanti del mondo: dall’industriale del rame Benjamin Guggenheim, al magnate degli alberghi e della finanza Jacob Astor, a Isidor Strauss, proprietario dei grandi magazzini Macy’s di New York, ai tanti altri che alloggiano nelle suites di prima classe.

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Il Titanic in una  foto d’epoca e, sotto, uno dei ponti del Titanic

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Lui, Francesco Nannini, dorme in una camerata spartana condivisa con altri e guadagnerà a traversata più o meno tre sterline e mezza, una cifra che per quei ricconi è un nulla. Ma non gli importa. Essere stato assunto dal miglior ristorante del Titanic è stata una fortuna. Anzi, è stato un riconoscimento che si è meritato: è esperto, con i suoi 42 anni di età, ed è bravo. Così bravo da essere ora non un semplice cameriere, ma il capo-cameriere soprintendente, l’head waiter, come si dice in inglese e come è scritto sul suo libretto d’imbarco e d’impiego.

Perché lui l’inglese lo sa bene: nell’isola britannica ci vive da anni, e le lingue le deve conoscere per comunicare con clienti che vengono da tutti i Paesi. A volerlo con sé in quel ruolo è stato un altro italiano, il pavese Antonio Pietro Gatti, detto Luigi, per il quale ha lavorato anche in Inghilterra. È lui ad essersi aggiudicata la gestione dei ristoranti di prima classe sul Titanic, vincendo la gara bandita dalla White Star Line; è lui che, volendo contare su personale qualificato, ha portato con sé su quella meraviglia di piroscafo 27 italiani del mestiere, scelti fra i migliori. È lui che adesso è lì, a sorvegliare le operazioni di chiusura. Francesco Nannini gli lancia un sorriso d’intesa che significa “tutto bene”, poi fa girare lo sguardo.

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Luigi Gatti, al centro e, sotto, una fotografia di gruppo del personale del ristorante “À la carte” del Titanic

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Non si è ancora abituato alla bellezza di quella sala, situata sul ponte B a poppa della nave: il pavimento è coperto da una moquette color rosa antico, le pareti sono rivestite da pannelli di noce chiaro cesellato e con decorazioni in foglia d’oro, le vetrate recano tende di seta color rosso rame ricamate a motivi floreali; il soffitto, sorretto da colonne in bronzo, è di gesso modellato a bassorilievi e ha come punti-luce delle artistiche apliques di ottone, mentre alle pareti spiccano le lampade di cristallo a forma di candela.

Il ristorante, che può allestire circa 150 coperti, possiede le aree ben suddivise di cucina e preparazione, presenta i piatti in servizi di porcellana cinese e d’argento, e il conto viene stampato su una carta particolare. Per i passeggeri che desiderano cenare in privato, le suite sono dotate di sala da pranzo separata, e c’è la possibilità di personalizzare i menù e la loro stampa su richiesta per le occasioni speciali. Anche la colazione in cabina è una delle innovazioni introdotte a bordo, grazie all’uso dei primi scaldavivande.

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La sala del ristorante “À la carte” del Titanic

Sui tavoli da sparecchiare si può ancora ammirare l’argenteria ricca e raffinata. Francesco Nannini sta dirigendo gli altri camerieri che cominciano a raccoglierla, quando si sentono un urto, uno stridere, un rumore strano. E l’incubo comincia.

Non è il caso di ripercorrere le ore che seguirono: la storia del naufragio del Titanic è celeberrima ed è entrata a far parte non solo della storia, ma anche dell’immaginario collettivo, raccontata in migliaia tra articoli, libri, trasmissioni radiofoniche e televisive, fumetti, poesie, canzoni. In oltre cent’anni (ne sono passati per la precisione 109 da quella tragica notte) ben 19 film hanno ricostruito l’evento. Ci basti quindi dar conto di alcune cifre: le vittime furono più di 1.500, i sopravvissuti poco più di 700. Nel novero totale, gli italiani erano probabilmente 40; nove erano passeggeri paganti, trentuno facevano parte del personale di bordo, principalmente dello staff di Luigi Gatti. Ne perirono nel naufragio 37; i tre salvati furono il passeggero Luigi Finoli, nato ad Atessa (Chieti); la lucchese Argene Genovesi, che era incinta di una bimba, nata poi in novembre e a cui venne dato il nome di Maria Salvata; ed Emilio Portaluppi, trentenne scultore nato ad Arcisate (Varese) e residente negli Stati Uniti. Quest’ultimo era amico, e a quanto pare innamorato, della diciottenne Madeleine Force, da poco sposa del già citato magnate Jacob Astor (deceduto nel naufragio). Secondo il racconto dello stesso Portaluppi, che morì ad Alassio nel 1974, fu proprio lady Astor a salvarlo facendolo raccogliere da una scialuppa, tanto che oggi si vuole che la loro vicenda abbia ispirato il film Titanic di James Cameron del 1997 con Leonardo Di Caprio e Kate Winslet.

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I giornali di tutto il mondo danno notizia della tragedia del Titanic

 Ma torniamo a Francesco Nannini, capocameriere, di cui abbiamo provato a immaginare gli ultimi minuti di tranquillità prima del fatale scontro della nave con un iceberg. Perché abbiamo focalizzato su di lui l’attenzione? Perché era romagnolo, se pur “di confine”. Uno dei due romagnoli sul Titanic, insieme a Sante Righini originario di Pisignano di Cervia, di cui abbiamo trattato nel precedente numero di questa nostra rubrica. Nato da Antonio Nannini e Giuseppina Albonetti il 3 febbraio del 1870 a Popolano, una frazione a quattro chilometri da Marradi in direzione Brisighella, sul confine tra le province di Firenze e Ravenna (e dunque nella cosiddetta “Romagna toscana”), Francesco Luigi Arcangelo Nannini all’età di 14 anni si spostò a Firenze dove, nove anni dopo, sposò Emilia Bargellini. Poi emigrò in Inghilterra, dove lavorò come cameriere. Scelto, come abbiamo visto, per un posto di prestigio sul Titanic, vi ebbe ingaggio con Pratica del Public Record Office n. BT 100/259, dove figura il suo ultimo indirizzo a terra: 33 Aubert Parck, Highbury Hill, London.

Perito nel naufragio, il suo corpo non venne mai recuperato, o se recuperato non venne identificato. A rinnovare la sua memoria e a rivisitarne i luoghi natii, qualche anno fa è giunto a Marradi, in visita dall’Inghilterra, il nipote Edward Nannini

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PER APPROFONDIRE

Claudio Bossi, Titanic: storie, leggende e superstizioni sul tragico primo e ultimo viaggio del gigante dei mari, De Vecchi, Milano 2012.

Claudio BossiGli enigmi del Titanic, Ed. Enigma, Firenze 2016.

Claudio Bossi, Il picasass sopravvissuto al Titanic. La storia di Emilio Portaluppi, ed. Macchione, Varese 2019.

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