Nessun rischio a mischiare Astrazeneca con Pfizer o Moderna. Parola del prof. Sambri della Microbiologia di Ausl Romagna

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L’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) ha approvato la vaccinazione mista per gli under 60 che abbiano ricevuto una prima dose di AstraZeneca. Non tutte le Regioni italiane hanno però deciso di adeguarsi a quelle che sono disposizioni nazionali, ma l’Emilia Romagna ha invece dichiarato di farlo e a tutti gli under 60 che hanno ricevuto una prima dose di vaccino Astrazeneca fornirà la seconda con Pfizer o Moderna.

Tra i cittadini però serpeggia molta confusione e paura e c’è chi dice che rinuncerà alla seconda dose. Per cerca di fare chiarezza abbiamo posto alcune domande al Prof. Vittorio Sambri, direttore dell’Unità Operativa Microbiologia del Laboratorio Unico di Pievesestina di Cesena.

Professore, ci può spiegare se queste paure, seppur legittime sul piano personale, siano giustificate da un punto di vista scientifico?

Tre mesi fa la resistenza era rivolta verso il vaccino Astrazeneca, sembrava che nessuno se lo volesse far somministrare. Ora che i risultati scientifici hanno fatto emerge la possibilità dell’insorgenza di qualche rischio in più nella classe under 60 e dunque si è deciso di inoculare in queste fasce di età un altro vaccino, la paura è quella di mischiare i due farmaci. Non c’è niente di scientifico in questi timori. Le autorità sanitarie purtroppo, a mio avviso, non hanno brillato da un punto di vista comunicativo su queste tematiche, capisco benissimo la confusione delle persone, ma non c’è motivo di non completare la copertura con un altro vaccino.

I due vaccini hanno funzionamenti diversi: cosa comporta mescolarli? La protezione è comunque garantita?

Non c’è nessun rischio di avere effetti collaterali avversi in percentuali superiori né di avere una copertura non efficace, cambiando il vaccino. Questo ormai è emerso da diversi lavori scientifici, è un’evidenza. Se si decide di fare Astrazeneca dopo Pfizer o il contrario, piuttosto che Moderna, il risultato non cambia, sia dal punto di vista della sicurezza che della copertura. È ampiamente dimostrato.

Il meccanismo con cui viene indotta la produzione di proteina Spike è diverso tra i due vaccini, ma il bersaglio finale della vaccinazione è sempre la risposta immune verso questa proteina. Si tratta di due metodi diversi per indurne la produzione da parte del nostro organismo, ma il bersaglio non cambia. Per semplificare si potrebbe dire che la meta – cioè la protezione dalla malattia – si può raggiungere seguendo una strada oppure un’altra, ma l’importante è arrivare a destinazione. Un vaccino o l’altro non fanno differenza.

Limitandosi ad una sola dose invece la copertura è molto parziale?

Quello che sappiamo ad oggi, è che se utilizziamo una sola dose per i vaccini per i quali è prevista la doppia somministrazione, la copertura è sicuramente meno efficace. La situazione in Gran Bretagna lo spiega bene. Gli inglesi, che hanno deciso di somministrare Astrazeneca in una sola dose per coprire intanto oltre il 60% della popolazione, ora qualche dubbio su questa scelta possono anche averlo, visti i dati sui contagi in aumento.

Per fare un esempio, è come se per curare il mal di testa fosse consigliata una compressa di Tachipirina 1000 e decidessimo di assumerne una da 500: può darsi che il mal di testa non ci passi. I dosaggi e le somministrazioni, in farmacologia non sono un’ipotesi e andrebbero seguiti. Poi è chiaro che trovandosi in situazioni emergenziali si possono prendere anche decisioni diverse, ma i risultati potrebbero essere diversi da quelli attesi.

Quindi, quello che sta succedendo ora oltremanica dipende da come è stata impostata la campagna vaccinale piuttosto che dalla diffusione della variante indiana? Quanto ci deve preoccupare quella realtà?

Di certo in alcune parti della Gran Bretagna ci sono sacche abbastanza ampie di diffusione della variante Delta, cosiddetta “indiana”. Questo fattore si innesta poi in una popolazione che per circa l’80% ha ricevuto una sola dose di vaccino. È una combinazione di fattori.

Contestualizzando la faccenda nell’ambito italiano, cambia tutto. Di varianti Delta in Emilia Romagna a ieri ne avevamo 15, non di più. Continuiamo a cercarle ma stiamo comunque parlando di numeri infinitamente più bassi di quelli inglesi.

Da noi, la vaccinazione è al 30% della popolazione su due dosi, mentre un altro 25% è coperto da una dose sola, quindi siamo in una situazione molto diversa. Credo si possa stare al momento più tranquilli.

La crescita dei contagi in UK ha condizionato anche le riaperture. Da fine giugno si è passati a fine luglio. Potrebbero esserci inversioni di tendenza anche in Italia?

Trovo il cambio di passo effettuato dal premier britannico Boris Johnson molto saggio. Non dobbiamo dimenticarci che stiamo gestendo una pandemia, non c’è scritto da nessuna parte come andrà a finire. Con l’ausilio della scienza possiamo tentare delle previsioni, cercare di leggere i numeri e prendere delle decisioni conseguenti, ma davvero c’è un ampio margine di incertezza col quale dobbiamo imparare a convivere. Cambiare idea sulla base del mutato scenario è saggio ed è l’unico modo serio di avanzare. Capisco che le persone abbiano bisogno di normalità e di certezze ma, ripeto, stiamo gestendo una pandemia che, è bene sottolinearlo, non è finita.

Si può forse dire che tutta la partita della comunicazione sulla campagna vaccinale, seppur estremamente complessa, poteva essere gestita in maniera più oculata?

Secondo me questo è l’ultimo esempio di una comunicazione decisamente complessa che ci ha caratterizzato per l’ultimo anno e mezzo. Riguarda i vaccini come altre questioni inerenti la pandemia. Ad agosto scorso si è parlato di virus clinicamente morto, lo stesso che poi ci ha massacrato a partire da ottobre. Sulla comunicazione ci vorrebbe molta prudenza: mantenendo trasparenza, ma senza assolutismi che poi rischiano di venir smentiti da dati successivi.

Ma le dosi di Pfizer e Moderna basteranno per raggiungere entro fine estate i risultati prefissi, visto che come Paese, ma anche come Europa, si era investito molto sul vaccino Astrazeneca?

Immagino che chi di dovere si sia fatto i suoi conti. Mi sento però di aggiungere che l’Italia ha un meraviglioso sistema sanitario nazionale, che è giusto che sia organizzato su base regionale, ma non è possibile che le regioni decidano autonomamente come applicare le direttive dell’AIFA, che è l’ente nazionale per la sicurezza sui farmaci. Apprezzo la posizione assunta dall’Emilia Romagna in proposito.

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