ROMAGNA E ROMAGNOLI NEL MONDO / 19 / Mario Buda, da Savignano a New York, l’amico di Sacco e Vanzetti che fece esplodere Wall Street

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Il 16 settembre del 1920 a New York, all’angolo tra Wall Street e Broad Street, nel centro simbolico del capitalismo americano e della city finanziaria, un uomo, giunto sul posto con un cavallo che traina un carretto, li ferma, li abbandona e si allontana a piedi confondendosi tra la folla. Il carretto è carico di esplosivo, che poco dopo, alle ore 12.01, deflagra devastando l’isolato e causando 33 morti e oltre 200 feriti. Edifici divelti e incendiati, vetrate in frantumi, corpi in terra, la banca di J.P. Morgan (chiamata The House of Morgan, o familiarmente The Corner) e, dall’altra parte della via, i locali della Borsa, sono distrutti. È il caos.

Attentato a Wall Street
Attentato a Wall Street

L’attentato di Wall Street del 1920

Sul piano materiale, l’attentato dinamitardo (che in seguito verrà considerato il primo esempio di “autobomba” della storia) causa danni per almeno 2 milioni di dollari dell’epoca. Le autorità, sconvolte, invocano l’intervento di truppe federali, ritenendo l’accaduto un vero e proprio act of war, cioè un “atto di guerra”. Le indagini, avviate dal Bureau of Investigation, si indirizzano da subito verso la pista anarchica, partendo da alcuni volantini rinvenuti in una cassetta delle lettere all’angolo tra Cedar Street e Broadway, firmati “American Anarchist Fighters”. Una firma che pare ricondurre principalmente a circoli anarchici italiani, da qualche tempo attivi in America soprattutto contro le disposizioni della nuova legge sull’immigrazione. Nel volantino compare la frase «Liberate i prigionieri politici!», prigionieri che, agli occhi degli inquirenti, non possono essere altri che gli anarchici italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, incriminati solo pochi giorni prima, precisamente l’11 settembre 1920, con l’accusa (infondata) di rapina e uccisione di due portavalori addetti al trasporto delle buste paga dei dipendenti di un’azienda.

Per chi fornirà elementi di prova relativamente alla bomba di Wall Street, le autorità mettono a disposizione una ricompensa di centomila dollari, e vengono largamente diramate foto segnaletiche di sospettati. Il lavoro investigativo porta infine a concentrarsi su di un uomo, descritto come «di fattezze siciliane e dal forte accento italiano». Ma chi è questo sospettato? Non è siciliano, come dichiarato dai testimoni che lo indicano, ma romagnolo. Il suo nome è Mario Buda, nato a Savignano sul Rubicone nel 1884 ed emigrato negli Stati Uniti nel 1907. Giunto nel Massachusetts, ha lavorato come giardiniere, operaio e manovale ed ha vissuto tra mille difficoltà, trovandosi non di rado a dormire per strada protetto solo da cartoni. Non avendo fatto fortuna, nel 1911 era tornato in Italia, rimanendovi però solo per un paio d’anni, per poi fare ritorno in America, dove aveva trovato lavoro in una fabbrica di cappelli di Roxbury, alla periferia di Boston.

Mario Buda

Mario Buda

Roxbury non era un luogo qualunque: faceva registrare all’epoca una forte presenza di italiani e di romagnoli, fra i quali diversi anarchici, con i quali Buda entra in contatto, aderendo alle loro idee e alle loro attività, militando nel gruppo che fa capo a Luigi Galleani e a cui appartengono anche Sacco e Vanzetti. Leggendo le pagine della rivista Cronaca Sovversiva, fondata proprio da Galleani nel 1903, non è difficile individuare le parole d’ordine del gruppo e di quelli ad esso collegati: no a riforme parziali, sì al rovesciamento del sistema capitalistico con ogni mezzo, compresi gli atti violenti di ogni genere. Buda, nel gruppo, partecipa a manifestazioni e scioperi, collabora alla propaganda, diffonde volantini e pubblicazioni, collabora all’organizzazione delle tre “Scuole Anarchiche Italiane” presenti negli Usa.

Cronaca Sovversiva

Noto alle forze dell’ordine, nel 1916 Buda è arrestato a Boston durante una manifestazione anti-interventista (era in corso la Prima Guerra Mondiale), venendo condannato a cinque mesi di reclusione anche per essersi rifiutato, in tribunale, di giurare sulla Bibbia. Descritto come testardo e taciturno, freddo e introverso quanto orgoglioso e convinto delle proprie idee, il savignanese appare all’epoca quasi calvo, con carnagione, baffetti e occhi scuri, naso molto pronunciato; disposto ad evitare a ogni costo la eventuale coscrizione per la guerra in corso, Buda nel 1917 si sposta in Messico, nella comunità di Monterey, in cui già sono arrivati molti altri italiani (compresi Sacco e Vanzetti), che sognano un ritorno nella patria natia per continuarvi l’attività politica e sovversiva.

Stanti le difficoltà di vivere o sopravvivere in Messico, i fuoriusciti dopo pochi mesi rientrano l’uno dopo l’altro negli Stati Unisti, magari assumendo una nuova identità (il savignanese diventa Mike Boda) e cominciando ad agire praticamente in clandestinità, con azioni sempre più eclatanti che si protraggono per un triennio. Non è escluso ad esempio che Buda sia stato fra i responsabili dell’esplosione di un ordigno avvenuta il 24 novembre del 1917 nella sede della polizia di Milwaukee, in Wisconsin, costata la vita a 11 persone. Di quell’attentato vennero incolpati undici anarchici italiani, poi ritenuti colpevoli e imprigionati con una sorta di processo-farsa (alcuni dei condannati non potevano assolutamente aver partecipato al fatto, perché quel giorno erano detenuti in carcere). Ciò non fa che esacerbare gli animi e alzare l’asticella dello «scontro»; così si arriva all’intento governativo di allontanare dal suolo americano gli indesiderati (soprattutto italiani) e alla legge New Immigration Act promulgata il 16 ottobre 1918, secondo la quale, per essere espulsi dal territorio americano, basta essere individuati come stranieri e sovversivi. Fra i primi ad essere colpiti da quella disposizione si contano Galleani e otto suoi collaboratori.

Buda nel frattempo riesce a sottrarsi ad ogni controllo e arresto: muovendosi in clandestinità, continua la propria attività sovversiva. Quando nell’aprile del 1920 vengono arrestati Sacco e Vanzetti, il savignanese sfugge per un pelo alla cattura, e poco dopo si sposta da Boston a New York. Ed è qui che, a quanto ci dice la storia, affitta un cavallo e un carretto, imbottisce il veicolo di dinamite e, con un congegno a tempo, lo fa esplodere, con le conseguenze di cui abbiamo già detto.

Sacco e Vanzetti

Sacco e Vanzetti

Dopo l’attentato Buda va a Providence, si fa rilasciare dal consolato italiano un passaporto a nome Mike Boda e dopo poche settimane si imbarca su una nave diretta a Napoli. Dalla città partenopea fa ritorno in Romagna, dove tenta di continuare l’attività politica, ma in patria il clima di sospetto e di repressione nei confronti di sovversivi e anarchici è ancora più ferreo che in America. Buda nel 1927 viene quindi arrestato e mandato al confino a Lipari, e da qui nel 1932 viene trasferito a Ponza. Durante la detenzione viene in due riprese intervistato sull’attentato di Wall Street da un ricercatore americano, Edward Holton James, ma nega ogni addebito e si proclama estraneo alla vicenda. Pochi mesi dopo viene rilasciato e si sposta a quanto pare in Svizzera, dove hanno trovato rifugio diversi anarchici italiani. Qualcuno sostiene che sia stato liberato in cambio di una attività come informatore del governo fascista da svolgersi proprio fra gli espatriati italiani nel paese elvetico, ma non ci sono in proposito evidenze certe.

Dopo due soli mesi in Svizzera l’uomo rientra a Savignano sul Rubicone, dove si dedica al mestiere di ciabattino e non fa più parlare di sé. Muore quasi ottantenne nel 1963, senza avere mai ammesso responsabilità nell’attentato di Wall Street del 1920.

Mario Buda

La tomba di Mario Buda

Cavezzali

PER APPROFONDIRE

Paul AvrichAnarchist Voices: An Oral History of Anarchism in America, Princeton University Press, Princeton 1996.

Michele PresuttoL’uomo che fece esplodere Wall Street. La storia di Mario Buda, in «Altreitalie», n. 40, 2010, pp. 83-107.

Chiara BassoUn italiano in America: Mario Buda, l’uomo che fece saltare Wall Street, in «Italies», n. 5, 2011, pp. 193-208.

Matteo CavezzaliNero d’inferno, A. Mondadori, Milano 2019.

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