Crisi idrica. Allarmi siccità anche nella Romagna del passato, ma forse mai gravi come nella situazione attuale

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Tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ’90 del Novecento si è generalmente innescato, a livello climatico, un aumento delle temperature medie ed estreme. Il decennio 1991-2000 è stato caratterizzato da una accelerazione di questo trend, fattosi poi ancora più veloce e più grave dopo il 2003 e, secondo diversi studiosi e analisti, per restare a tempi recenti (gli ultimi 60 anni circa) si possono distinguere due periodi climatici: quello caratterizzato da un «vecchio clima» nel trentennio 1961-1990 e quello improntato a un «nuovo clima» dal 1991 ad oggi.

Questo cambiamento globale sembra avere avuto in Emilia-Romagna una intensità ancora maggiore, con forti aumenti delle temperature massime e medie (con alcuni inverni “assenti”, picchi estivi elevati e ondate di calore sempre più pesanti e lunghe) e soprattutto situazioni di siccità che paiono non solo cronicizzarsi, ma via via aggravarsi, probabilmente anche a causa di un assetto orografico che vede i bastioni appenninici fare da barriera e da “trampolino di salto” alle ormai frequenti correnti atmosferiche da sud-ovest.

Sappiamo che sul nostro pianeta fasi e fluttuazioni meteo-climatiche ci sono sempre state. Per semplificare al massimo e rimanere ai tempi storici, possiamo sintetizzare individuando una fase di clima piuttosto mite che si esaurì contemporaneamente alla fine dell’Antichità; una fase più fredda e instabile dalla caduta dell’Impero romano al IX secolo circa, momento in cui ebbe inizio il cosiddetto «optimum climatico medievale», mite e piuttosto stabile fino al XIII-XIV secolo circa; poi si manifestò una instabilità che portò a un deterioramento il quale, soprattutto dai primi del Cinquecento ai primi dell’Ottocento, fu assai notevole, tanto che quel periodo viene oggi definito «piccola età glaciale», caratterizzata da estati brevi e piovose, inverni molto lunghi e rigidi, ecc. La straordinaria velocità dei mutamenti odierni, però, è certamente influenzata, come sostiene la maggioranza degli studiosi, anche dall’azione antropica, cioè dal peso delle azioni umane e dalle loro conseguenze (inquinamento, emissioni, effetto serra, uso indiscriminato delle risorse a partire da quelle idriche, deforestazione, eccetera).

Dal punto di vista delle precipitazioni e delle disponibilità idriche, per rimanere a tempi storici e al territorio romagnolo, una ricognizione offre un risultato coerente: fino a pochi decenni fa potevano manifestarsi occasionalmente e non raramente, è vero, periodi di siccità, che però non erano gravi come quelli odierni, anche perché non erano accompagnati da temperature medie e massime simili a quelle attuali.

Siccità
Siccità
ridracoli

Se in Romagna c’è stato un problema millenario e serio riguardante l’acqua, ha avuto normalmente un segno opposto a quello che ci troviamo ad affrontare oggi: banalizzando possiamo dire che spesso di acqua “ce n’era troppa”: troppe e ricorrenti precipitazioni e inondazioni, con croniche difficoltà a controllare e mettere a regime fiumi, torrenti e canali, a bonificare paludi, ecc. La storia del nostro territorio e degli interventi che nei secoli vi si sono resi necessari lo dimostra ampiamente, anche se non sono mancate ovvie esigenze di altro genere, come quello di gestire e ottimizzare in modo razionale le disponibilità idriche (pensiamo solo alla preziosa diga di Ridracoli). Insomma, anche quando si presentavano periodi di siccità, si può dire che il bilancio annuale delle precipitazioni risultava alla fine più o meno nella norma e soddisfacente, perché abbondanti piogge o nevicate compensavano le temporanee carenze.

Riteniamo comunque interessante proporre una (sommaria e basata su un numero limitato di fonti) ricognizione storica degli occasionali periodi di siccità in Romagna negli ultimi secoli, anche se, essendo solo recenti le misurazioni e le elaborazioni statistiche in proposito, non è possibile quantificarne la reale portata, né (essendo nel tempo mutati profondamente gli assetti strutturali e produttivi, i sistemi tecnici di approvvigionamento, le necessità d’uso e gli stili vita) valutarne appieno gli effetti.

Nel 1427, insieme ad altri problemi (tra cui una infestazione di insetti voraci), nelle nostre campagne si registra una lunga siccità. Anche l’estate del 1478 viene descritta dai cronisti romagnoli come molto calda e secca, con il manifestarsi di qualche evento meteorologico violento. Lo stesso problema riguarda l’anno successivo, il 1479, quando tra estate e autunno si presenta, oltre alla scarsità di precipitazioni, un forte caldo.

Anche nel 1507 si verifica una protratta siccità che fa vivere un’estate e un autunno poveri di pioggia e ricchi solo di grandine. Le sementi non attecchiscono, gli orti si presentano secchi e improduttivi, i mulini ad acqua non riescono a lavorare e a macinare per produrre le farine: nei pochi che riescono a rimanere attivi, i carri di grano vengono scortati da uomini armati per impedire i saccheggi della popolazione affamata, mente di notte, qua e là, ci sono persone che rompono le cisterne dei mulini stessi per avere acqua con cui annaffiare gli orti. La popolazione cesenate, a corto di cibo e preoccupata, già dalla metà di luglio ricorre senza risultati a tridui di preghiera e a processioni.

Siccità

Nella seconda metà del Cinquecento, comunque, e soprattutto a partire dall’ultimo quarto del secolo, insieme a discontinuità e a sporadiche quanto evidenti contraddizioni tipiche di una «alterazione climatica» (qualche periodo di siccità, alcune ondate di forte caldo estivo), predominano una sovrabbondanza delle precipitazioni e delle conseguenti alluvioni, inverni lunghi e rigidi, primavere spesso simili all’inverno, e non mancano nevicate in tarda primavera e in estate. Nel 1562, dopo un inverno mite e molto piovoso caratterizzato da inondazioni, la siccità infierisce in primavera ed estate facendo venire a mancare soprattutto i tagli prativi, il fieno, i legumi e altri prodotti, e si profila lo spettro di una carestia. Il «disordine» meteoclimatico continua e l’anno successivo, 1563, la Romagna dal primo giorno di giungo è invece colpita da un’ondata di intenso freddo, e il giorno 12 di quel mese nevica copiosamente.

Per l’anno 1637 il cronista Serafino Pasolini riporta che, manifestandosi una carenza idrica tale da rendere problematico l’uso dei mulini ad acqua per macinare, venne rimesso temporaneamente in uso e in funzione a Ravenna il “molino a vento” situato sulle mura urbane, in un edificio noto come Torre Alidosia (poi demolito nel 1747).

Siccità

Una estate particolarmente calda e secca risulta essere stata in Romagna quella dell’anno 1755. Dopo un inverno freddissimo e con scarse precipitazioni, caratterizzato dalla lunga morsa del ghiaccio, la primavera si presenta per un tratto siccitosa: non piove dal 13 marzo per circa due mesi, tanto che qua e là vengono organizzate devozioni e processioni per implorare la pioggia, che arriva a metà maggio e si fa addirittura seguire, il giorno 19 dello stesso mese, da abbondanti nevicate nelle aree di collina e montagna. Siccità su ampie zone del nord Italia è registrata tra 1778 e 1779; nel 1794 è testimoniata dai cronisti cesenati; poi, nel Ravennate, nell’estate e agli inizi d’autunno del 1796, tanto che in città si tengono tridui di preghiera rivolti alla Madonna del Sudore conservata in Duomo.

Pochi anni dopo, nel 1803, il problema si ripresenta in zone della Romagna: dalle valli appenniniche giungono notizie di aridità estiva delle sorgenti e sofferenza per i bestiami, ma in autunno e inverno non mancheranno nevicate copiose. Più seria appare la situazione descritta da un cronista di Santarcangelo di Romagna, Elia Gallavotti, secondo cui dal maggio del 1828 al gennaio del 1829 il clima si mantiene avaro di precipitazioni, e di conseguenza nell’estate riesce difficile il lavoro dei mulini ad acqua. A nulla valgono messe, devozioni e processioni; in agosto la temperatura raggiunge tra l’altro un breve picco eccezionale per l’epoca (28,5 gradi Réaumur, corrispondenti a oltre 35 gradi Celsius). Per la stessa area, un altro picco di 28 gradi Réaumur è registrato il 29 luglio del 1859.

Siccità

L’anno seguente, 1860, secondo lo stesso cronista dal 19 maggio al 15 ottobre non cadono piogge degne di questo nome, e per un giorno il termometro Réaumur segna 30 gradi, cioè 37,5 gradi Celsius (ritenuto record secolare in zona), abbassandosi però di almeno cinque gradi già nelle giornate successive. Anche l’estate del 1871 si presenta secca, e a soffrirne sono soprattutto le coltivazioni di mais; le piogge però riprendono copiose già dal 5 agosto. Un periodo di siccità c’è anche nel 1873, da fine giugno al 28 ottobre. Scarsa di precipitazioni è anche la primavera del 1878, a cui fa seguito un’estate ugualmente secca e a tratti molto calda; ma le piogge e un forte calo termico iniziano già a fine luglio. L’anno seguente, 1879, di nuovo una estate siccitosa, ma i mesi precedenti erano stati ricchi di precipitazioni, le quali riprendono copiose dal 9 settembre. Nevi e precipitazioni abbondanti caratterizzano l’inverno 1892-93, ma la primavera appare avara di piogge; ciò verrà compensato con abbondanti precipitazioni a giugno e a luglio. Lo stesso accade nel 1894: al secco che impera dal 29 settembre al 25 novembre farà seguito un dicembre molto ricco di piogge e nevicate. Nel 1904 piove regolarmente fino a fine maggio, poi non cade più una goccia fino al 13 luglio.

Possiamo dire che più o meno dalla seconda metà dell’Ottocento ha inizio, dopo la «piccola glaciazione» dei secoli precedenti e un periodo intermedio instabile, un riscaldamento con estati che si allungano, così che la fase climatica tra fine Ottocento e anni Dieci del Novecento si presenta come mite, seguita da una oscillazione che porta a un periodo più freddo fino al 1920-21; poi di nuovo una fase più calda che giunge più o meno al 1940. Si presentano infatti piuttosto secchi gli anni 1921, 1922, 1924, 1929 e soprattutto il 1938. Tra il 1920 e il 1946 ci sono ben 14 estati caratterizzate da scarsa piovosità; ma sia riguardo alle temperature, sia riguardo all’entità delle siccità, si è lontani dalla gravità della situazione attuale.

Dalla metà degli anni Cinquanta del Novecento inizia poi una fase più fredda, con aumento della nevosità invernale; poco dopo la metà degli anni Ottanta invece, dopo gli inverni gelidi e nevosi del 1985 e 1896, inizia una nuova e più decisa fase di riscaldamento, e si arriva a quello che abbiamo definito «nuovo clima» che dal 1991 a oggi, con velocità crescente soprattutto a partire dal 2003, pare virare verso regimi di temperature e di siccità ingravescenti e molto preoccupanti.

Gli spiragli di ottimismo si fanno sempre più stretti, e aumenta il timore che possano aspettarci, da questo punto di vista, tempi davvero difficili.

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