Benvenuto Presidente! Sergio Mattarella a Ravenna per ricordare l’assalto fascista alla Federazione delle Cooperative

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è oggi 28 luglio alle 11 al Teatro Alighieri di Ravenna per le celebrazioni del centenario dell’assalto squadrista alla sede della Federazione delle Cooperative della provincia di Ravenna ad opera delle bande fasciste guidate da Italo Balbo. L’evento dal titolo Estate 1922: attentato fascista alla libertà – centenario dell’assalto squadrista alla sede della Federazione delle Cooperative della Provincia di Ravenna è promosso dal Comune e dalla Provincia di Ravenna in collaborazione con Legacoop, Legacoop Romagna, Federazione delle cooperative e l’intero movimento cooperativo di Legacoop.

Nel 1922 la Federazione, tra gli ultimi baluardi dell’associazionismo cooperativo in Italia, fu incendiata e parzialmente devastata dall’assalto che fu, come scrisse lo stesso Balbo nel suo diario, un atto politico per “dare agli avversari il senso del terrore”. Si trattò di uno dei tanti episodi della violenza fascista che si intensificarono particolarmente nell’estate del 1922, colpendo numerose città italiane. La presenza del Presidente della Repubblica a questo momento della memoria è particolarmente significativo.

“Ancora una volta, dopo la commemorazione in memoria di Zaccagnini e l’apertura delle celebrazioni dantesche, il Presidente ci onora della sua presenza in occasione del giorno del centenario dell’assalto alla Federazione delle Cooperative – ha commentato il Sindaco e Presidente della Provincia di Ravenna Michele de Pascale – Si tratta di un evento molto significativo non solo per la città di Ravenna, ma per la storia del ‘900 italiano, poiché il bersaglio fu il principale simbolo dell’antifascismo e dell’autorganizzazione sociale. La visita di Mattarella è un grandissimo motivo di orgoglio per tutta la comunità, rappresenta un’occasione preziosa per rendere onore alle vittime di quell’estate di violenze, ma anche per tenere vivi quegli ideali democratici di libertà, uguaglianza, fraternità e bene comune che con esso furono presi di mira, così che anche le giovani generazioni possano comprenderne l’importanza e farsene portavoce”.

“Cento anni fa Ravenna e le sue Cooperative organizzate nella Federazione delle Cooperative – ha dichiarato Mario Mazzotti Presidente Legacoop Romagna – rappresentavano uno degli ultimi baluardi delle organizzazioni democratiche e del lavoro di fronte all’avanzata del fascismo in Italia. Fu questo il motivo per cui le squadracce fasciste di Balbo e Mussolini presero d’assalto la città e distrussero ed incendiarono il palazzo della Federazione delle Cooperative attuale sede della Provincia. Si trattò di un episodio criminale che spianò la strada alla marcia su Roma. Siamo pertanto orgogliosi che il Presidente Mattarella abbia scelto di ricordare quei tragici eventi, riaffermandone così il valore nazionale e la sua importanza storica soprattutto in questo momento nel quale i valori costituzionali di democrazia e di libertà vanno continuamente difesi e rigenerati. Il 28 luglio sarà l’occasione per noi per ribadire, anche di fronte ai 120 anni dalla nascita della Federazione delle Cooperative della provincia di Ravenna fondata da Nullo Baldini, che i valori della cooperazione rappresentano per la nostra terra un tratto dell’identità della nostra comunità e che l’antifascismo fa parte del nostro dna”.

Federazione delle Cooperative assalto

Foto Ulderico David

Come seguire la cerimonia

La cerimonia sarà ad invito, ma potrà essere seguita in diretta dalla home page del sito www.comune.ra.it, sulla pagina facebook Comune di Ravenna e su Teleromagna canale 14.

La cerimonia si aprirà con la proiezione del documentario “L’incendio alla libertà: l’assalto fascista alla cooperazione ravennate”. Seguiranno gli interventi istituzionali (Comune e Provincia di Ravenna, Regione Emilia – Romagna, Legacoop Romagna) e quello della storica Simona Colarizi, Università La Sapienza Roma.

Le modifiche alla viabilità

Giovedì 28 luglio per la visita di Mattarella sono previste modifiche alla viabilità in alcune piazze e strade del centro storico.

In piazza Caduti per la Libertà, via Corrado Ricci, via Ginanni (tratto compreso fra l’incrocio con piazza Arcivescovado e quello con via Guerrini), via De Gasperi (tratto compreso fra via Chartres e piazza Caduti per la Libertà), via Guerrini (tratto compreso fra l’incrocio con piazza Caduti per la Libertà e via Gardini), via Dante Alighieri, via Raul Gardini, via Gordini, via Mariani, piazza Garibaldi, piazza Einaudi, via Diaz, via Guidone, via Guaccimanni (tratto compreso fra piazza Caduti per la Libertà e via Marco Dente), via Da Polenta, via Santi, piazza San Francesco, via Boccaccio, via della Tesoreria Vecchia, via Mentana: divieto di transito per tutti i veicoli (compresi quelli dei residenti) dalle 9.45 alle 13 di giovedì 28 luglio e divieto di sosta con zona rimozione per tutti i veicoli (compresi quelli dei residenti) dalle 7 alle 13 di giovedì 28 luglio. I flussi pedonali saranno gestiti a discrezione degli organi di polizia preposti alla vigilanza che, all’occorrenza, potranno regolamentare gli accessi o interdire temporaneamente il transito. Gli unici veicoli ai quali sarà permesso qualora necessario il transito saranno quelli adibiti ai servizi di polizia, antincendio e pronto soccorso, nonché quelli specificatamente autorizzati dagli organi di polizia preposti alla vigilanza.

Nelle vie Mariani, Gordini, Guidone, De Gasperi, piazza Caduti per la Libertà, Guaccimanni, Guerrini: divieto di transito per gli autobus adibiti al trasporto pubblico di linea dalle 9.45 alle 13 di giovedì 28 luglio. Sul sito di Start Romagna sono pubblicate tutte le modifiche e variazioni di percorso, al seguente link: https://www.startromagna.it/infobus/ravenna-visita-presidente-della-repubblica-il-28-luglio/

In largo Firenze divieto di sosta con zona rimozione per tutti i veicoli eccetto quelli muniti dell’apposito contrassegno, dalle 7 alle 13 di giovedì 28 luglio.

Parcheggi alternativi per i residenti autorizzati alla sosta in piazza Garibaldi

Fino alle 15 di giovedì 28 luglio i residenti autorizzati alla sosta in piazza Garibaldi potranno parcheggiare, purché espongano sul lato sinistro del parabrezza il relativo permesso di sosta, nelle seguenti aree regolamentate a parcometro: via Carducci, viale Farini, viale Maroncelli, via Beatrice Alighieri (compreso il parcheggio), via Bezzi, via Colonna, via Ugo Bassi, via Luigi Rava, via Falier, via Rocca ai Fossi, piazzale G. B. Rossi, via Paolo Costa, via Girolamo Rossi (nel tratto compreso fra via Anastagi e via Mura di Porta Serrata), via Mura di Porta Serrata, via di Roma (nel tratto compreso fra via Mura di Porta Serrata e via Paolo Costa e nel tratto compreso fra via Mariani e viale Farini), via Canneti, via Chartres, via De Gasperi, via Rondinelli, viale Nullo Baldini, via Santa Teresa, via Augusta, via Claudia e via Mura di Porta Gaza.

I lavoratori CMC scrivono a Mattarella

I lavoratori di CMC hanno scritto una lettera da consegnare al Presidente della Repubblica in occasione della sua visita a Ravenna odierna. Nella missiva si fa presente quanto le misure per salvare la cooperativa edile siano indispensabili e urgenti, se si vuole evitare il fallimento.

“Le trattative in corso che coinvolgono importanti partners industriali nonché le stesse istituzioni governative e Invitalia, rischiano di concludersi prematuramente a causa dell’inevitabile stallo prodotto dall’attuale situazione politica. Se non emergeranno subito risposte concrete per la soluzione della crisi della CMC, il rischio del fallimento si concretizzerà nella prossime settimane. – scrivono i lavoratori – La CMC – circa 4000 addetti tra diretti ed affidatari in Italia e all’estero ed altri migliaia di posti di lavoro nell’indotto – oggi rischia, per mancanza di liquidità, di generare un dramma sociale per migliaia di famiglie e bloccare la realizzazione di importanti opere infrastrutturali al Sud, in particolare in Sicilia, dove sta costruendo assi viari strategici per lo sviluppo della regione oltre ad una tratta della Metropolitana di Catania… Chiediamo al Governo di mettere in campo soluzioni immediate per la salvaguardia del patrimonio industriale ed in difesa del futuro dei lavoratori e delle loro famiglie. Questo è quanto ci aspettiamo dal tavolo di confronto al Ministero. Signor Presidente Mattarella 11 anni fa, alla presenza del Presidente Napolitano, si festeggiarono i 110 anni di storia della Cooperativa e vorremmo grazie anche al Suo interessamento trovare le soluzioni per continuare a festeggiare altri prossimi anniversari.”

Lorenzo Cottignoli e Luigi Martini: Così il palazzo delle cooperative venne scelto come bersaglio della violenza squadrista

Nel 1921, finito il lavoro pittorico, il palazzo della cooperazione ravennate è diventato compiutamente il simbolo fisico, nel cuore della città, della cooperazione. […] Ma la reazione degli agrari si fa sentire nella provincia di Ravenna fin dai primi mesi del 1921, quando vengono finanziate squadre di fascisti alle quali si indicano gli obiettivi da colpire. Sono oramai tempi drammatici per il paese, già da oltre due anni il movimento squadrista fascista ha iniziato l’azione demolitrice delle organizzazioni sociali espressione del socialismo, del sindacato, della cooperazione, individuate come le principali barriere a difesa della seppure insufficiente democrazia che l’Italia ha raggiunto. La prima aggressione sanguinaria dei fascisti ai democratici ravennati viene organizzata il primo maggio 1921 uccidendo il facchino Francesco Segurini, il giorno successivo cominciarono gli incendi delle case del popolo, quindi il 23 maggio il primo attacco a una cooperativa e ai suoi dirigenti: venne presa di mira la cooperativa di Riolo fino a quando il 23 luglio il segretario venne costretto a firmare una dichiarazione che lo impegnava a lasciare la cooperativa e il paese.

Non era che l’inizio, visto che la reazione opposta dal movimento cooperativo, da quello sindacale e socialista divenne molto forte. La sequenza delle aggressioni continuò in molti comuni e frazioni della provincia e, in occasione delle commemorazioni dantesche, il dodici e tredici settembre, il capoluogo divenne lo scenario scelto dai fascisti provenienti da tutta la regione per esercitare le loro provocazioni e attuare aggressioni a persone e cose; la Camera del Lavoro e la sede della Cooperazione ravennate vennero occupate e devastate (ma non riuscirono a fermare l’attività delle due organizzazioni che rimisero prontamente in funzione le loro sedi). Un’azione però, quella fascista, che venne intensificata sull’intero territorio provinciale anche nei mesi successivi e nel 1922.

A metà del 1922, in Italia, sono molte le associazioni già ridotte in condizioni di difficile sopravvivenza, ma restano ancora due baluardi che resistono, a Ravenna e a Parma, dove i fascisti non sono riusciti a scalfire il movimento operaio e cooperativo. Eccezioni che non potevano essere tollerate ulteriormente. Nella provincia romagnola viene messa in atto un’azione congiunta fra agrari e fascisti, lo scontro politico e sindacale induce le organizzazioni repubblicane e socialiste a trovare un terreno di unità di fronte all’aggressione a tutto campo ormai imminente. La sera del 26 luglio «Confluirono su Ravenna con auto duemila fascisti bolognesi e ferraresi guidati da Italo Balbo. […] Nella notte […] i fascisti entrarono repentinamente nella sede della federazione delle Cooperative socialiste (e facilmente, per il portone principale, lasciato socchiuso dalla forza pubblica — non si sa se per connivenza o negligenza — che stazionava dentro e fuori per proteggere la sede), e vi appiccarono il fuoco che parzialmente la devastò». L’azione distruttrice non si ferma lì, infatti attaccano e devastano anche la Camera del Lavoro, anch’essa alloggiata in un palazzo autorevole della città, che era stato il primo teatro di Ravenna.

Le devastazioni e gli eccidi nel corso dei giorni di occupazione fascista della città sono numerosi, ma quello che più ci interessa segnalare è il significato strategico e simbolico che l’azione squadrista spiega con chiarezza; è lo stesso comandante dell’attacco a ricordarlo nel suo diario pubblicato anni dopo. Ecco cosa scrive Italo Balbo: «Questa notte le squadre hanno proceduto alla distruzione dei vasti locali della Confederazione provinciale delle Cooperative socialiste. […] L’incendio del grande edificio proiettava sinistri bagliori nella notte. Tutta la città ne era illuminata. Dobbiamo oltre tutto dare agli avversari il senso del terrore. […] Ho incontrato l’on. Nullo Baldini che al momento dell’incendio era nel palazzo insieme col socialista Caletti. Dietro mio ordine Baldini fu allontanato dai fascisti senza che alcuno gli dicesse nemmeno una parola ingiuriosa. Quando ho visto uscire l’organizzatore socialista con le mani nei capelli e segni della disperazione sul viso, ho compreso tutta la sua tragedia. Andavano in cenere in quel momento, col palazzo delle cooperative di Ravenna, il sogno e le fatiche di una vita. Qui era tutta o per lo meno gran parte della forza di cui i socialisti godono nella regione. Organizzazione mastodontica, ma retta con criteri sostanzialmente onesti. Soltanto che non era un ente economico, bensì politico».Il resoconto di come venne condotta l’aggressione è ben diversamente raccontato in altri testi, ma il diario di Balbo ha un merito, rendere esplicito il significato simbolico attribuito al palazzo della cooperazione ravennate.

Testo di Lorenzo Cottignoli e Luigi Martini tratto dal libro “Arte per l’umanità – arte e artisti in 120 anni di cooperazione”, 2007 Legacoop e Skira editore.

Ezio Mauro: Fiamme nere sull’Italia, luglio 1922

Ezio Mauro su La Repubblica ha raccontato con maestria – con pagine ricche di notizie, aneddoti e pathos – la presa del potere del fascismo cento anni fa, con “1922 Cronache della marcia su Roma”. Qui ripercorriamo per stralci ciò che Ezio Mauro ha scritto a proposito dei fatti del luglio 1922.

Agli inizi di luglio Roberto Farinacci prende Cremona. “Lui ha 29 anni, è stato volontario e combattente in guerra, da impiegato delle ferrovie è diventato capostazione e soprattutto adesso è il ras indiscusso del fascismo in città e provincia, fedelissimo di Mussolini e soprattutto degli agrari, che lo finanziano. Sale le scale a passo di corsa seguito da due giovani squadristi, – scrive Mauro – entra nella stanza del sindaco, si siede sulla poltrona rossa, e preso un foglio dal cassetto scrive una lettera a Sua Eccellenza Giuseppe Guadagnini, Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia: “Illustrissimo Signor Prefetto, per la dignità di Cremona che è da tempo senza giunta, quale rappresentante in parlamento di questa città mi sento in diritto e in dovere di nominarmi sindaco provvisorio di questo Comune”. Firma, poi impartisce il suo primo ordine agli squadristi: devono occupare subito la piazza del Comune per evitare che la forza pubblica intervenga obbligando i fascisti a riconsegnare il municipio alla giunta social-comunista. Arrivano i camion, coi cassoni pieni di uomini armati. Mentre le camicie nere si schierano, vedono il gagliardetto del fascio che sale trionfante sul balcone del Comune, dove viene ammainata la bandiera rossa con la falce e il martello che sventolava da due anni, dopo aver vinto le elezioni: inutilmente.”

Ezio Mauro racconta: “Lo scempio della legalità politica sfigura i municipi italiani, deforma lo scheletro elettorale della geografia urbana, svuota la sinistra della sua rappresentanza e infine la mette fisicamente al bando dalle città che aveva conquistato col voto. Per tre settimane nel luglio ’22 Cremona è la capitale di questa usurpazione violenta. L’impotenza dello Stato corre sui fili del telegrafo, col prefetto che informa Roma dell’assedio fascista, e il governo che si chiama fuori e suggerisce di presentare una formale denuncia al Procuratore del Re. Ma non c’è tempo. Farinacci pretende che il prefetto chiuda subito la stagione della Cremona rossa, nominando un commissario. Anzi, per forzare la mano gli squadristi vanno casa per casa a cercare gli amministratori socialisti e comunisti, minacciandoli e costringendoli a dimettersi. Quando alle quattro del pomeriggio li vede arrivare e prendere a spallate la porta, il comunista Silvio Barbieri si chiude in casa a doppia mandata, tira fuori la pistola e spara in aria, finché la polizia arriva sul posto e arresta lui invece delle squadre che tentavano la violazione di domicilio…”

Cremona e dintorni sono nelle mani degli squadristi. Il governo assiste impotente, in balia degli eventi… “Mentre la Camera sta discutendo il caso Cremona, sabato 15 luglio, arriva in aula la notizia che gli squadristi sono penetrati nell’abitazione del parlamentare socialista Giuseppe Garibotti e in via Stazione hanno preso d’assalto la casa del deputato popolare Guido Miglioli, incendiandola. Libri, schedari, mobili giù dalla finestra insieme con le persiane divelte, poi uno squillo di tromba richiama in strada le squadre che si dispongono in quadrato sulla piazza del Comune issando Farinacci sulle spalle. Matteotti chiama in causa direttamente Facta: “Dov’è? Cos’ha da dire? Andate a cercarlo. Continua ancora a ripetere nutro fiducia?”. 

Il 17 luglio Facta scioglie il Consiglio comunale di Cremona ma Farinacci il giorno dopo proclama la messa al bando di Miglioli e Garibotti, annunciando che per i due deputati Cremona è terra bruciata. Il governo non reagisce. Facta affonda alla Camera il 19 luglio.

“La crisi si apre al buio dopo che Facta è entrato alle 10 del mattino a Villa Savoia, per dimettersi nelle mani del Re – racconta Ezio Mauro – … Il Paese sta scivolando alla deriva senza guida, fuoriuscendo dal quadro delle istituzioni liberali e dallo Statuto. Luglio somma l’assenza di governo con la vacuità dello Stato, la pavidità della magistratura, la debolezza delle polizie, lo smarrimento dei questori, la mancanza di autonomia dei prefetti, l’infragilimento del parlamento dileggiato: “la Camera italiana fa proprio schifo”, ripete Mussolini. I popolari per primi propongono una svolta con un governo che tagli le due ali del fascismo e del socialcomunismo per puntare sul “dovere patrio inderogabile” di ripristinare “l’impero della legge, la pacificazione degli animi e l’autorità dello Stato”. Turati, che secondo le voci del parlamento ha incontrato segretamente don Sturzo, sembra incoraggiare questa ricerca di un nucleo politico di responsabilità nazionale, davanti al pericolo: “Dopo tanti appelli vani alla pacificazione, ormai neppure Cristo potrebbe dire parole di pace, e il sermone della montagna sarebbe interrotto dal crepitio delle fucilate. Quando si incendiano le case e si minaccia la chiusura del parlamento, la questione è di sapere se l’Italia debba essere un Paese civile o se è definitivamente imbarbarita”. Prova a trovare una maggioranza Orlando, tenta Bonomi, poi il popolare Meda, quindi il liberale De Nava. Ma il vero nome che ritorna in tutti i sussurri è quello di Giolitti. Il vecchio statista è al “Des Ambassadeurs” di Vichy… scruta da lontano ogni movimento a Montecitorio.”

Molti pensano che solo Giolitti possa metterci una pezza, ma lui non ha intenzione di sporcarsi le mani. “Sta partendo per Parigi, poi proseguirà le sue vacanze in Olanda. Quando consegna le valigie al facchino per andare alla stazione, taglia corto con chi gli chiede come finirà la crisi di governo in Italia: Siamo nella merda, e ci resteremo” scrive Mauro che continua: “A luglio il 1922 sembra aver scelto il suo destino. Il triangolo fascista disegnato con le occupazioni di Ferrara, Bologna e Cremona evidenzia uno Stato a pezzi: e manca ancora Novara, dove l’assassinio di un fascista innesca la rappresaglia squadrista con assalti, incendi, devastazioni nei paesi della provincia. La frazione “rossa” di Lumellogno è il nuovo luogo simbolico da espugnare per i fascisti, che ingaggiano la battaglia domenica 16 luglio, con manipoli che arrivano da fuori in bicicletta. Scontri durissimi, ma Lumellogno respinge le camicie nere e diventa l’esempio della resistenza possibile alle camicie nere. Poi tocca a Ravenna, dove il fascismo tenta l’assalto alla città, alla Romagna rossa e alla potenza economica del sistema cooperativo guidato dal deputato socialista Nullo Baldini.”

A questo punto ecco il racconto di Ezio Mauro sui fatti di Ravenna.

“Prima il Fascio spacca l’associazione dei birrocciai che ha il monopolio del trasporto dei cereali dopo la trebbiatura. Nasce un sindacato fascista, scatta lo sciopero, gli squadristi pungono le bestie che tirano i carri degli avversari e si imbizzarriscono, in un clima di tensione alle porte della città dove si è concentrata la protesta. La guerra dei birrocci degenera, i fascisti arretrano lanciando due bombe a mano alla porta di via Cavour, un’altra nel circolo repubblicano dei Vicoli. Arriva il facchino fascista Giovanni Balestrazzi, in camicia nera. Gli scioperanti lo circondano, lo colpiscono atterrandolo, lo uccidono a colpi di randello. Sparano i carabinieri, altri colpi arrivano dalle finestre, dodici morti, 60 feriti, Borgo Saffi è un campo di battaglia. Giunge Italo Balbo, in piedi col moschetto in pugno sull’auto che corre in città. Ha già chiamato le squadre di rinforzo da Bologna e da Ferrara, ha imposto la chiusura dei negozi per “lutto fascista”, sta mandando i manipoli nella case dei comunisti e dei socialisti per cacciarli da Ravenna, con un bando appeso ai muri. Lui stesso parla di “scene di guerra”. Ma siamo all’inizio.”

“I fascisti progettano un gesto macabro ed esemplare, per completare l’opera: prima che sorga il sole una squadra penetra nell’ospedale addormentato, apre la camera mortuaria e rapisce il cadavere di Balestrazzi trasportandolo alla Casa del Fascio, presidiata dalle camicie nere che montano una guardia d’onore. Balbo va dal prefetto, gli annuncia che una grande mobilitazione fascista porterà alle cinque del pomeriggio una folla enorme ai funerali, e chiede che tutte le forze di polizia vengano concentrate sul corteo. Ma mentre la processione funebre si muove scortata, le camicie nere si staccano dalla fila correndo, raggiungono la Casa del popolo repubblicana e la occupano barricandosi all’interno: pronti a restituire la sede al Pri solo in cambio di una rottura dell’intesa coi socialisti nell’Alleanza del Lavoro, in un nuovo patto suicida. Poi, la notte, arriva il fuoco. I fascisti bruciano il palazzo storico della Federazione delle cooperative socialiste, cuore fisico e simbolico dell’organizzazione che raggruppa oltre cento centri sociali di lavoro e di consumo. “Purtroppo la lotta civile non ha mezzi termini – conclude Balbo in una confessione nichilista tra i bagliori delle fiamme -, noi giochiamo la vita tutti i giorni e abbiamo compiuto quest’impresa con lo stesso spirito con cui si distruggevano in guerra i depositi del nemico. Dobbiamo dare agli avversari il senso del terrore”.

“Sembra ormai che la violenza preceda le sue motivazioni, e faccia a meno di qualsiasi tipo di giustificazione: semplicemente compiendosi, come se rispondesse a un obbligo dell’epoca, o a un destino maledetto. Gli squadristi attaccano ancora sedi anarchiche e comuniste nei sobborghi Fratti e Garibaldi, poi Balbo tratta col prefetto lo sgombero, carica su una colonna di camion forniti dal questore le milizie nere, ma invece di smobilitare le scaglia contro tutte le “case rosse” sedi di organizzazioni di sinistra che incontra in 24 ore di guerriglia, mettendo a fuoco paesi e città tra Forlì e Ravenna. C’è in Balbo, man mano che procede nella distruzione, un’emozione estetica, un’ubriacatura funerea di morte, come se assistesse da fuori al suo spettacolo di devastazione: “E stata una notte terribile. Il nostro passaggio era segnato da alte colonne di fuoco e fumo. Tutta la pianura di Romagna fino ai colli è stata sottoposta all’esasperata rappresaglia dei fascisti, decisi a finirla per sempre col terrore rosso”.

“È già un istinto totalitario, che punta a svellere definitivamente, dovunque e con ogni mezzo qualsiasi presenza proletaria organizzata. Con un riflesso automatico, spinta dall’angoscia della base, ingannata dal velleitarismo dei proclami, pressata dai ferrovieri anarchici l’Alleanza del Lavoro annuncia lo sciopero generale “in difesa delle libertà politiche e sindacali minacciate dalla reazione”. Uno sciopero “per la libertà”, dice l’appello ai lavoratori; “legalitario”, aggiunge il comitato segreto d’azione che guida la protesta, perché gli operai devono astenersi da ogni violenza, per lanciare “un avvertimento solenne al governo del Paese”. Ma il governo non c’è, e il vuoto politico genera mostri.”

Ezio Mauro poi racconta i tentativi di Filippo Turati – che rompendo la tradizione socialista va perfino a incontrare il Re – di rimettere in gioco i socialisti riformisti per appoggiare un governo che punti al ripristino della legalità. Ma le cose si sono spinte troppo avanti. Socialisti massimalisti e comunisti lo attaccano. Il Re lo gela. Mussolini lo deride. La crisi marcisce. Il Re chiede a Facta di ritentare di mettere insieme un governo nel caos generale.

“Qualcuno chiede un vaticinio a D’Annunzio, da tempo silenzioso. “La bassezza della situazione – risponde il Poeta – mi rende perplesso sull’opportunità di far udire la mia voce lontana”. Poi arriva l’ultimo consiglio: “Lasciamo che le scimmie in gabbia si mordano la coda”. Questa la conclusione di Ezio Mauro di quel luglio nero del 1922, in cui anche Ravenna visse il suo momento nero.

 

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