ROMAGNA. NEL SEGNO DELLA TRADIZIONE / 14 / Dall’antica credenza degli animali parlanti al rito della Pasquella, con la Befana, il Befanotto, le danze e i canti

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Nel numero precedente di questa Rubrica abbiamo trattato della Befana; ma l’arrivo della mitica Vecchia non era certo l’unico aspetto tradizionale di una ricorrenza importante come quella dell’Epifania, che chiudeva il periodo di tempo festivo e «magico» che si era aperto nella notte di Natale, celebrando il solstizio d’inverno, e le successive stratificazioni dei culti, da quello manistico a quelli della nuova religione cristiana.

Comunque la componente manistica, cioè relativa al culto dei morti e degli Antenati che si riteneva potessero fare temporaneo ritorno alle loro dimore terrene in occasione dei varchi di «tempo fuori dal tempo» offerti da solstizi e capodanni, si manifestava in Romagna in diversi modi. Uno dei più suggestivi riguarda l’antica credenza secondo cui, nella notte fra 5 e 6 gennaio, gli animali (soprattutto i bovini delle stalle) acquistassero la parola e la capacità di pronosticare il futuro. Probabilmente ciò si deve al fatto che si pensava che i defunti potessero, nell’occorrenza, manifestarsi tramite gli animali stessi.

Stalla

Ma la tradizione avvertiva che, se per questo le bestie andavano in quei giorni accudite e nutrite con particolare attenzione e reverenza, allo stesso tempo occorreva evitare di rimanere ad ascoltarle quando elargivano commenti e previsioni. Il contatto con la dimensione numinosa, dunque, come sempre, era ritenuto carico di inquietudine e di rischi. Diverse storielle della nostra terra (e non solo di questa) informavano infatti che, se ci si fosse attardati nella stalla ad ascoltare tali parole oracolari, mal ne sarebbe incorso, perché si sarebbe poi stati costretti, alla chiusura del tempo magico, a seguire gli spiriti dei morti nella loro dimensione.

Un altro aspetto che richiama alla tradizione manistica riguarda, oltre alla figura della Befana di cui abbiamo già detto, il rito della Pasquella, cioè della questua che gruppi di persone, mascherate o non, con l’accompagnamento di strumenti musicali e canti, conducevano in quella notte casa per casa. Descrivevano tale usanza già all’inizio dell’Ottocento i materiali della cosiddetta «Inchiesta napoleonica» che si tenne nel 1811 per raccogliere notizie circa le tradizioni, superstizioni e caratteri della cultura popolare.

Pasquella

Il suggestivo rito della Pasquella è tutt’ora vivo (anche se in una dimensione ridotta rispetto al passato e con intenti che sono via via andati a ricoprire anche esigenze di carattere spettacolare, di richiamo e di intrattenimento, cioè forme del «festoso» più che del «festivo») in alcune località della sua area di diffusione, che era grosso modo la Romagna sud-orientale, a cominciare dalla valle del Montone (più o meno il confine nord-orientale può essere considerato il Bevano e quello sud-orientale il Conca). In certi luoghi il canto è rimasto in funzione senza interruzione, o è stato così fino a tempi recenti (a Bagno di Romagna, a Galeata, a Santa Sofia, nel triangolo Cervia-Cesena-Rimini); in altri risulta invece interrotto da tempo; in altri ancora si registrano riprese spontanee. Oggi a volte, invece che nella sera e nella notte di vigilia, la Pasquella si tiene il giorno stesso dell’Epifania, per evidenti motivi inerenti la facilitazione di una maggior partecipazione di pubblico, trasformando così l’arcaico rito in moderna manifestazione spettacolare e turistica.

Il canto rituale era eseguito da gruppi maschili (non è così nelle forme rimesse in funzione), costituiti da canterini e suonatori; fra i personaggi mascherati spiccano quelli impersonanti la Befana e il Befanotto, indicato come suo marito. Nelle forme più complesse, all’esterno della casa ci si annunciava eseguendo le prime strofe di un canto augurale (che nel tempo si è arricchito di riferimenti religiosi cristiani). Una volta che la porta di casa veniva aperta, i Pasqualotti (o Pasquaroli) entravano, avveniva il ballo della Befana col Befanotto e il gruppo consumava parte delle vivande e bevande predisposte quali cerimonia di accoglienza da parte della famiglia visitata. Seguivano balli con le donne di casa e altre strofe augurali e di ringraziamento.

Si può notare che, mentre i testi più antichi e conservati delle Pasquelle sono di carattere esclusivamente profano, quelli più recenti sono o interamente o prevalentemente di argomento religioso, facendo riferimento alla ricorrenza liturgica, ai Magi, ecc. Ciò si deve, come già detto, a una progressiva cristianizzazione dell’usanza. I canti di questua dell’Epifania sono diffusi in quasi tutte le regioni d’Italia e in varie parti d’Europa, con modalità e testi di vario tipo: quelli noti in Romagna appartengono al gruppo di canti che hanno la loro area di diffusione principale in Romagna, Marche, Repubblica di San Marino, Umbria e Abruzzo.

Pasquella

La Pasquella, messa in atto alla chiusura del ciclo rituale del solstizio d’inverno, nel momento cioè in cui sta per iniziare il tempo nuovo (anzi rinnovato) da propiziarsi, condotta da celebranti che rappresentano anche i defunti (numi tutelari), è legata a riti di origine pre-cristiana di fertilità e fecondità: in cambio di accoglienza e doni (cibo e vino) i questuanti rendono un servizio alla comunità, promuovendo con il loro rito e augurio la prosperità.

Diverse fra le strofe dei canti profani eseguiti nell’occasione riguardavano o riguardano allusioni a spose e a ragazze a cui si augura, rispettivamente, di avere presto prole o di trovare un buon marito: i Pasqualotti dunque vogliono favorire anche matrimoni, nascite, fecondità. Nel momento di rinnovamento dell’anno, insomma, anche la comunità deve rinnovarsi accogliendo nuovi membri per garantirsi una continuità, essendo questo un bene non solo per i vivi che ricevono l’augurio, ma anche per i morti-auguranti, che proprio nelle nuove nascite cercano un mezzo per tornare nel consesso dei viventi, così come volevano le credenze più arcaiche e come stabilivano, su un piano generale, le regole del fondamentale mito dell’«eterno ritorno». A questo proposito osserviamo che uno dei cibi tradizionali dell’Epifania consisteva nelle castagne, che venivano donate dai ragazzi alle loro fidanzate; la famiglia ricevente le consumava insieme con il giovane pretendente. E non è difficile vedere nelle castagne, nell’ambito di rituali e consuetudini cariche di valenze significanti, un simbolo sessuale, generativo e riproduttivo.

Castagne

Oltre a ciò, la sera di vigilia e la notte (oltre che il giorno) dell’Epifania, in chiusura del «tempo magico» in cui in qualche modo si pensava che coincidessero o venissero a contatto passato, presente e futuro, erano ritenute particolarmente adatte per diverse pratiche divinatorie, con le quali si voleva prevedere e pronosticare come sarebbero stati il tempo e l’anno nuovi che si aprivano. Pratiche numerose e di vario genere di cui qui non si può, per motivi di spazio, fornire un elenco neppure sommario.

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