Paride Antolini, Presidente Ordine Geologi ER: siamo sulla strada giusta per messa in sicurezza di collina e pianura, ma ci vorranno anni

Più informazioni su

Come annunciato, domani, venerdì 10 maggio, i geologi dell’Emilia-Romagna e italiani saranno in visita alle frane e nelle aree colpite dal dissesto idrogeologico del maggio 2023. Il ritrovo sarà presso il parcheggio del Centro Sportivo di Cusercoli nel Comune di Civitella di Romagna, in provincia di Forlì-Cesena, e da qui i geologi si muoveranno per visitare le zone franate nella Valle del Bidente.

Paride Antolini, Presidente dell’Ordine dei Geologi dell’Emilia-Romagna dichiara: “Nei versanti del nostro rilievo montuoso interessato da oltre 80.000 frane sono previsti interventi strutturali e interventi non strutturali. Per questi ultimi si intende una attività di previsione, sorveglianza e monitoraggio, una regolamentazione dell’uso del suolo nelle aree interessate da fenomeni di dissesto di versante in atto o potenziale, il mantenimento delle condizioni di assetto del territorio e dei sistemi idrografici nel territorio collinare montano. Domani, venerdì 10 maggio faremo un’escursione nella provincia di Forlì-Cesena che presenta il valore più alto di aree in frana con 44,64 kmq. Decine di geologi, insieme ai maggiori esperti nazionali del settore esploreranno una porzione di territorio coinvolto da importanti frane, analizzando, studiando e confrontandosi su una situazione che mai prima di oggi si era verificata. Gli eventi alluvionali di un anno fa causarono 14 vittime, 80 esondazioni, 80.000 frane, 36.000 sfollati”.

Raggiunto al telefono alla vigilia dell’escursione, il geologo Paride Antolini ha risposto alle nostre domande.

Frana

L’INTERVISTA

Presidente Antolini, ci spieghi meglio, com’è la situazione e cosa farete domani sul terreno?

“Allora, sul posto ci saranno con noi esperti come Alessandro Corsini dell’Università di Modena e Reggio Emilia, e Matteo Berti dell’Università di Bologna oltre ad esperti dell’Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po. Questo sopralluogo è una sorta di aggiornamento professionale, nel senso che questi due professori ci guidano nel sopralluogo e vengono anche a illustrarci quanto è emerso dai loro studi, perché con le università stanno lavorando su queste situazioni e hanno supportato la Regione e l’Autorità di bacino a stilare questi famosi Piani speciali per la messa in sicurezza del territorio di cui conosciamo le linee preliminari e che dovranno diventare definitivi a giugno.”

Ecco, lei ha già visto quelle linee preliminari: qual è la sua opinione?

“Il Piano Speciale preliminare sulle situazioni di dissesto idrogeologico, redatto dall’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po, in stretto raccordo con la Regione Emilia-Romagna e la Struttura del Commissario Straordinario è il risultato di diversi contributi emersi nell’ambito del Gruppo di lavoro composto da enti ed amministrazioni. È un lavoro ben fatto che dimostra la reattività della nostra Regione a fronte di eccezionali eventi e le incognite di un cambiamento climatico che non sappiamo dove ci porterà e cosa ci riserverà. In tema di “lotta” e “prevenzione” al dissesto idrogeologico sono state impostate scelte lungimiranti e coraggiose, in considerazione del pensiero corrente sui social dove invece si tende a risolvere il tutto con interventi sempre localizzati e mai a livello di bacino. Il Piano recepisce in sostanza quello che noi geologi per primi avevamo indicato: come il tema di dare spazio ai fiumi e la gestione del territorio con interventi anche non strutturali nel rispetto dell’ambiente, per una coesistenza dell’uomo in un territorio geologicamente difficile e in linea con le azioni di adattamento climatico.”

Ma cos’è in definitiva questo Piano speciale che vedrà la luce?

“In poche parole, prevede la definizione delle linee di indirizzo da seguire per la mitigazione del rischio idrogeologico e l’individuazione degli interventi strutturali e non strutturali sulle situazioni di dissesto del territorio, sempre alla luce dei cambiamenti climatici. Perché dobbiamo partire dal fatto che ci sono stati e ci sono questi cambiamenti, noi siamo stati testimoni di un evento eccezionale. Qualcuno lo nega. Ma quello del maggio scorso è un evento eccezionale. È un qualcosa che ha a che fare con il cambiamento climatico in atto e noi dobbiamo adattarci a questo cambiamento con nuovi approcci e indirizzi per gli interventi di messa in sicurezza idraulica della collina e della pianura. Quello che stiamo facendo qui adesso è molto importante. Ma la domanda che mi faccio sempre io è: altrove cosa fanno? A me risulta che tutto quello che si sta facendo qui in Emilia-Romagna nel resto d’Italia non si sta affatto facendo. Io penso che questi piani speciali e una futura nuova progettazione ci porteranno piano piano fuori da questa situazione di stallo e di pericolosità, ovviamente non in maniera assoluta, perché il rischio zero non esiste. Ma nel resto d’Italia?

Già perché il cambiamento climatico non riguarda solo la nostra regione, no?

“Appunto. Qui c’è stato un evento tragico ed eccezionale che ci ha aperto gli occhi, e noi stiamo reagendo. Ma gli altri? Mi lasci quindi dire che ancora una volta come Emilia-Romagna noi siamo un passo avanti rispetto al resto d’Italia. Perché queste problematiche che noi abbiamo qua in Emilia-Romagna sono le stesse che ha il resto d’Italia ma sono le stesse che il resto d’Italia sta ignorando.”

Nella lentezza e macchinosità della risposta del governo centrale in fatto di rimborsi. Nella mancanza di risorse adeguate e nelle difficoltà per i privati e per le imprese a ottenere quello che era stato promesso, io vedo una forma in qualche modo di sordità da parte del potere centrale, che si riflette poi nella mancanza di una consapevolezza nazionale, oltre che di un piano nazionale per la messa in sicurezza di tutto il territorio italiano, non crede?

“Sicuramente sì. I lavori si fanno attualmente in ambito pubblico e non in ambito privato, soprattutto perché la gestione delle ordinanze commissariali è molto complicata. Beninteso, al Commissario e alla sua struttura va tutta la mia ammirazione, stanno lavorando e ce la stanno mettendo tutta e, quindi, a loro non posso fare nessun rimprovero. Però è chiaro, io sono romagnolo e conosco la situazione delle aziende della Romagna, conosco la situazione degli agricoltori che vivono in montagna: so bene che certe ordinanze impostate in quella maniera possono avere grosse problematiche nella gestione, esattamente quelle che stanno avendo. Le ordinanze da un punto di vista tecnico sono anche perfette, con un loro percorso logico per dare dei ristori effettivamente corrispondenti ai danni. Ma di fronte a frane e alluvioni quantificare i danni è estremamente complicato. E l’ordinanza commissariale che riguarda le aziende è talmente complessa, che gli agricoltori fanno fatica ad usarla. Se crolla un muro è facile stabilire un danno. Ma se frana un terreno?”

Lei mi sta dicendo in sostanza che per quantificare i danni del terremoto è molto più semplice. Se crolla un capannone si può stabilire presto il danno. Ma se crolla una collina dove ci sono 5 o 10 appezzamenti agricoli, è tutta un’altra faccenda, anche perché va valutata la fragilità dell’area nel suo complesso…

“Lei ha detto perfettamente. Un primo problema è mettere d’accordo le proprietà. Con interessi e prospettive diverse. Se sei una grossa azienda e sei strutturato a fare investimenti puoi risollevarti. Ma il grosso delle famose 80.000 frane in montagna e in collina ha interessato terreni marginali, insomma in genere piccole aziende agricole senza grandi disponibilità finanziarie. Questa gente che vive in montagna ci pensa due volte prima di intervenire, se non è certa di quello che può succedere anche in tema di rimborsi. E infatti non sta intervenendo. Questo è un grande problema.”

Lo è anche perché, adesso lo sappiamo tutti, all’origine della grande alluvione del maggio 2023 ci sono proprio quelle frane che sono finite nei fiumi a monte e hanno molto aggravato il pericolo di esondazioni e rotture a valle.

“Assolutamente sì. Quindi diciamo che adesso ci sono questi Piani speciali che prevedono mi pare circa 3.400 abitazioni che ricadono in un determinato perimetro di rischio. Sarà da verificare quante e quali effettivamente sono in pericolo, quelle che possono essere recuperate da un punto di vista abitativo con interventi. Per mettere in sicurezza in collina una casa che vale 200 mila euro, devi mettere in sicurezza anche il versante e spendi magari 400-500 mila euro. Insomma bisogna valutare bene e servono eventualmente molti soldi. E va presa in considerazione anche l’ipotesi di una delocalizzazione, ricostruendo la casa da un’altra parte.”

La messa in sicurezza di tutto il territorio richiederà come minimo 10 anni e tantissimi investimenti, non crede?

“Beh, parliamo di rifare ponti, strade, alvei dei fiumi, bisogna fare un mucchio di opere pubbliche. Anche quando si parla di aree di laminazione dove far defluire le acque. Bisogna individuare aree a bassa densità abitativa. Dopo di che ci sono i risarcimenti. E ci vogliono opere per fare defluire velocemente le acque, perché non è che possono stagnare.”

Secondo lei un piano di questo genere quanto può valere in termini di investimenti?

“Sicuramente più di quanto è stato previsto finora. Ovviamente più dei famosi 8-9 miliardi.”

Questi probabilmente serviranno solo a ripristinare la situazione pre-esistente ma non a dare più sicurezza alla Romagna.

“Sicuramente ci sono cifre enormi da investire, cifre che sono fuori portata per una sola Regione. E ci sono scelte che riguardano anche i cittadini, nel senso che bisognerà fare delle rinunce. Faccio un esempio, piuttosto rinuncio a una rotonda qui subito e investo i soldi dove il beneficio forse lo vedranno i miei figli o i figli dei figli. Bisogna spendere oggi per costruire la sicurezza di domani. Perché nel momento in cui succede l’evento estremo il territorio deve essere pronto.”

Un’ultima domanda, secondo lei quello che è stato fatto in questi dodici mesi è umanamente tutto quello che si poteva fare, oppure no?

“Allora secondo me sì, è stato fatto tutto il possibile. Forse anche di più. Nessuno si è risparmiato, i tecnici dei comuni, soprattutto dei piccoli comuni, non hanno conosciuto sabato e domenica, sono sempre stati a disposizione.”

Possiamo dire allora che sul territorio è stato fatto tutto il possibile, però non basta ancora.

“Esatto. È stato fatto tutto il possibile, umanamente, però ovviamente il problema è talmente grande che non siamo ancora a posto. Cioè continuano ad esserci sul territorio tanti problemi che devono essere affrontati nei prossimi anni. Però, ripeto, con le nostre conoscenze tecniche qui in Emilia-Romagna siamo in grado di farvi fronte. Ci vuole tempo, ma ce la faremo.”

Insomma, è ottimista?!

“Io sono ottimista, bisogna essere ottimisti. Basta vedere tutto il fermento che si sta sviluppando dopo i fatti del maggio 2023. Da questi piani speciali uscirà una nuova visione del nostro territorio e un approccio diverso alla sua difesa e messa in sicurezza. E forse anche il cittadino, alla luce di quanto è successo, ha preso coscienza del cambiamento di passo necessario. C’è un cambiamento culturale, insomma. I grandi avvenimenti come terremoti o alluvioni, specialmente poi in Regioni come la nostra, molto reattive, sicuramente portano dei cambiamenti. Una nuova consapevolezza e un cambiamento di approccio, è la parola giusta.”

Più informazioni su