Dopo pandemia, guerra, crisi energetica e siccità ci mancavano solo le cavallette… anzi no. Nella Romagna del 1300, per esempio foto

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In questo periodo tutt’altro che sereno, caratterizzato da una pandemia che, seppure con effetti meno gravi rispetto al recente passato, non molla la presa e forse si accinge, con tutti gli interrogativi del caso, a divenire endemia; da una guerra in Europa le cui conseguenze impattano anche sulle disponibilità energetiche e sulla situazione economica; dagli effetti di un cambiamento climatico che si manifesta in maniera più rapida di quanto si ipotizzava e da una conseguente scarsità delle risorse idriche, ecc., non è mancato chi, giustamente preoccupato, abbia detto o pensato, facendo riferimento alla suggestione dei flagelli biblici: «Mancano solo le cavallette…».

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Il flagello biblico delle locuste, dalla “Bibbia di Duisburg”, XV secolo

Be’, in realtà non mancano neppure quelle: sono di questi giorni le notizie, relative in particolare alla Sardegna, che informano di invasioni di questi insetti sull’isola, come da qualche anno avviene in maniera ampia e preoccupante. La specie responsabile in tal caso è quella che risponde al nome scientifico di Dociostaurus maroccanus, o «grillastro crociato», la stessa che da millenni rappresenta una piaga in Nordafrica. Le isole e altre parti del nostro territorio nazionale da sud a nord, del resto, in passato ma anche in anni vicini hanno subito invasioni simili provenienti principalmente da sud (Nordafrica, Vicino Oriente) o, soprattutto nei secoli scorsi, da est, provenienti in questo caso da delta del Danubio e pianure “pannoniche” ungheresi. Per restare alla Sardegna, ricordiamo che nel 1946 ci fu un’ondata spaventosa che colpì due terzi dell’isola: un milione e mezzo di ettari furono devastati. Il fenomeno in quell’occasione fu probabilmente facilitato dal fatto che, essendoci appena stata la guerra, molti campi erano abbandonati o insufficientemente coltivati e curati, fornendo alle cavallette le condizioni ideali per diffondersi.

Abbiamo detto che pure il centro e il nord del nostro Paese (come altre aree europee) hanno dovuto più di una volta affrontare drammaticamente il problema. Ciò vale anche per la Romagna, come riportano fonti e notizie riguardanti soprattutto la seconda metà del XIV secolo (anche in questo caso, va notato, era appena finita la terribile epidemia di Peste Nera che aveva decimato la popolazione e lasciata perciò incolta una parte notevole dei terreni agricoli).

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Invasione di cavallette a Zurigo nel 1338 (dalla Schweizer Chronik di Christoph Silberysen, 1576)

Nel 1363, 1364 e soprattutto nel 1365 il territorio romagnolo fu colpito da invasioni di cavallette. Non ci sono cronaca o trattato storico locali che non diano notizia dell’incubo improvviso di quegli sciami d’insetti capaci di oscurare il cielo e di abbattersi voracemente sulle coltivazioni, spogliandole, e sui pascoli a privare di sostentamento i bestiami; l’unico modo che si trovò per fronteggiarli fu di porre su di loro una sorta di taglia, di modo che chiunque ne uccidesse e ne portasse alle autorità avrebbe ricevuto una ricompensa in danaro.

Il muoversi verso l’Europa degli sciami, testimoniato più volte nel corso del Medioevo anche per l’Italia settentrionale (ad esempio nel 1338, 1341,1357, 1363, 1364, 1365 ecc.), era dovuto probabilmente a situazioni di tipo meteo-climatico, come caldo eccessivo, siccità e scarsità di cibo nei luoghi abituali di azione di questi insetti, oppure (e forse soprattutto) a particolari correnti atmosferiche.

Troviamo notizie relative al 1363 – quando gli insetti, provenienti forse dalla Dalmazia, giunsero sulle coste adriatiche toccando anche la parte meridionale della Romagna – nella cronaca fiorentina di Matteo Villani, che definisce gli insetti «grilli»: Il dì primo di luglio, un vento schiavo (1) temperato per dieci ore continove del dì, nelle parti di Pesaro, Fano e Ancona condusse incredibile moltitudine di grilli, quasi come in passaggio per l’aire, tanto stretti che ‘l sole non rendea la luce se non come per una nuvola non troppo serrata; e trovossi per quelli che la notte sopraggiunse, che molti l’uno portava l’altro. Dove presono albergo, cavoli, lattughe, bietole, lappoloni, e ogni erba da camangiare, la mattina si trovarono tutte colle costole e nerbolini tutti bianchi, che a vedere era cosa nuova. Perché per lo freddo della notte non si poteano levare, i fanciulli ne portavano le cannuccie coperte dal capo a piè, tanto stretto l’uno sotto l’altro, che non vi si sarebbe messo la punta dell’ago. I grilli erano di lunghezza d’un dito, colle gambe lunghe e rosse, e l’ali grandi, col dosso ombreggiante in verde chiaro. Molti o la maggior parte annegarono in mare, che ‘l flotto gittò alla marina, i quali ammassati gittarono orribile puzzo; e trovossi che i pesci non presono cibo di loro, e gli uccelli e gli altri animali, insino alle galline, se ne guardarono (2).

Registra il fatto anche il bolognese Bartolomeo della Pugliola, per il quale invece gli insetti giungevano da sud: «In quell’anno [1363] per la Puglia si trovarono tante cavallette, che coprivano la terra, e poi si sparsero per la Marca e per la Romagna, ma non da Forlì in qua; e dove si ponevano, non rimaneva se non la terra asciutta, e fecero grandissimo danno» (3). Per il 1364, lo stesso cronista annota: «Vennero per tutta per tutta la Romagna da Imola in là e anche dalla Marca e per le contrade delle cavallette, che volavano, e dove si ponevano, non vi rimaneva niente, se non la terra brolla» (4).

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Più documentata, perché fu certamente di maggiori dimensioni e gravità, è l’invasione del 1365. Informa il cesenate Fantaguzzi, dichiarando di avvalersi in questo caso di «copia d’una scripta trovata in casa de ser Antonio da Palazo presente ser Almerico et miser Piero Venturello»: «In questo anno vene grandissima moltitudine de cavalette che volavano per l’àgliare, che erano tante che oscuravano el sole e coprivano la terra e guastorno tutti li legumi. Et uno vento le menò in mare et, abonazato, veneno a lido de Pexaro per fino a Luxo contado de Arimino, che coprivano ogni cosa. Et el Comuno de Cesena ogni dì mandava fora uno quartero de li homini de Cesena con ramaze e con fòsse et altre cose ad amazarle. Et el Comuno dava 5 soldi de la soma. Et ne fo morte tante che lo Comuno non poteva durare al pagamento né a la spesa» (5).

Il forlivese Marchesi: «Infine poi un castigo non picciolo generalmente per tutta la provincia, e furono moltissime cavallette, che molto la danneggiavano. Il rimedio. che fu trovato a quello male, fu, che statuirono del mese di giugno le Communità di Rimino, Cesena, Forlì e Faenza che a chi portava uno staro di quegli animaletti al Podestà di dette città, si dovessero dare soldi venti; e fu risolutione di gran sollievo» (6).

Per il Riminese, Carlo Tonini riporta che le locuste «le quali portate per impetuosissimo vento dalle parti di Schiavonia e invasa, qual vero diluvio, tutta quanta la Romagna, divorarono le erbe, gli ortaggi e tutto il meglio delle nostre campagne» (7). Per il Ravennate dà la notizia delle cavallette Pasolini, aggiungendo che «chiunque ne portasse uno staro al Podestà ricevette vinti soldi» (8). Per il Faentino segnala l’evento il Tonduzzi, annotando il disastro operato dagli insetti «nelle biade e nelle campagne» (9), e per le zone collinari di quel territorio scrive Metelli: «Nugoli di locuste (o che nodi di venti dall’Affrica muovendo venissero secondo la sentenza d’alcuni ad ingombrarne il cielo dell’Italia, o frutto fosse di mala semenza che quella immensa copia d’insetti per propizia stagione producesse) vennero sì fattamente a riversarsi su queste nostre amene campagne, che ne furono quasi tutte coperte. In poco d’ora tutto fu roso, né vi rimase fil d’erba, e lo squallore de’ campi e il pianto de’ cultori e la mestizia de’ cittadini, e il caro dell’annona successero ben presto alle speranza de’ fiorenti ricolti, e all’abbondanza e alla dolcezza della pace. I magistrati grandemente temendo, che il triste flagello negli anni avvenire si rinnovellasse, per farglisi incontro con qualche provvedimento posero bando, che dal pubblico erario verrebbero dati premii a coloro, che una certa misura di quegli insetti raccogliendo li portassero ad essere arsi» (10).

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Frontespizio di un libro del ravennate Giuseppe Zinanni (o Ginanni), stampato nel 1737, in cui, oltre che di uova e nidi degli uccelli, si parla di «varie spezie di cavallette»

Restando alla nostra Regione, in cui fortunatamente non si è mai ripetuta la gravità dei fenomeni registrati nel Trecento, rammentiamo che negli ultimi decenni qualche invasione di cavallette c’è comunque stata – e con un trend che pare in crescita -, dovuta però principalmente alla proliferazione di una specie autoctona (Calliptamus italicus), che qui vive e si riproduce abitualmente da sempre, e che molto probabilmente agisce in quantità e in modi condizionati dalle attuali condizioni meteo-climatiche. Recentemente, ad esempio, sciami di questi insetti hanno colpito le coltivazioni nelle romagnole valli del Bidente e del Savio, come denunciato con preoccupazione da Coldiretti.

Allo stesso modo lo scorso anno 2021 il fenomeno ha interessato (come fa ciclicamente) la fascia collinare e pedecollinare delle province di Piacenza, Parma, Reggio Emilia e Modena, oltre ad aree del Bolognese, avendo come fattore scatenante la siccità e le temperature non rigide dei mesi invernali, che hanno consentito la sopravvivenza e lo sviluppo delle uova deposte da questi insetti nel terreno. Sempre nel 2021, in luglio, una abnorme proliferazione ed azione delle cavallette si è avuta nel Cesenate, soprattutto nell’area di Borello e dintorni.

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NOTE

(1) Proveniente cioè dalla Schiavonia, ossia Dalmazia.
(2) Croniche di Giovanni, Matteo e Filippo Villani secondo le migliori stampe e corredate di note filologiche e storiche, Trieste 1858, II, p. 387.
(3) B. della Pugliola, Historia Miscella Bononiensis, R.I.S., XVIII, col. 468.
(4) Ivi, col. 476.
(5) G. Fantaguzzi, Caos, a cura di M.A. Pistocchi, Roma 2012, pp. 862-863.
(6) S. Marchesi, Supplemento istorico dell’antica città di Forlì, Forlì 1678, p. 305.
(7) C. Tonini, Compendio della storia di Rimini, Rimini 1895-1896, I, p. 401.
(8) S. Pasolini, Lustri ravennati, Ravenna- Forlì-Bologna 1678-1712, III, p. 53.
(9) G.C. Tonduzzi, Historie di Faenza, Faenza 1675, p. 431.
(10) A. Metelli, Storia di Brisighella e della Valle di Amone, Faenza 1869-1872, I, 1, p. 264.

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