Quando un “mostro” merita una mostra. Anno 1512: il “mostro” e la battaglia di Ravenna. Una pagina enigmatica ed emblematica di storia (seconda parte)

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Dall’Italia e dopo la Spagna, l’eco della vicenda del “mostro di Ravenna” giunge in Francia, dove vengono stampati fogli volanti sull’argomento; la riproduzione di uno di questi, per mano di Francois Inoy e per vie tortuose, ci è rimasta, inclusa in un testo più lungo apparso il 18 settembre del 1513 (11). Il disegno della creatura è abbastanza simile a quelli che compaiono in due fogli volanti tedeschi, stampati nel 1512, ma che si riferiscono a un altro parto mostruoso che sarebbe avvenuto a Firenze in una data indicata prima come 1506, poi come 27 febbraio 1512. Il primo foglio è conservato nella Biblioteca nazionale di Monaco di Baviera; si tratta di una xilografia che reca la seguente iscrizione: “All’attenzione del pubblico. Questo mostro nacque nell’anno 1506 il giorno di San Giacomo a Firenze da una donna. E la notizia giunse al nostro santo padre il Papa. E sua Santità disse che non lo si dovesse nutrire, ma lasciar morire senza cibo.” (12)

L’aspetto della creatura è il seguente: testa calva che reca un corno sulla sommità, orecchie simili a fiammelle o a piccole ali, bocca larga divisa nel mezzo, braccia sostituite da ali piumate, petto di donna a sinistra e di uomo a destra. Sulla parte sinistra del torso compaiono due croci greche, e sotto i seni fiammelle stilizzate con la punta rivolta in basso; quella di destra indica alcuni punti neri. Il sesso è ambiguo, essendo disegnato in modo da poter rappresentare sia una vulva che un membro virile eretto. La gamba destra è normale, mentre la sinistra è coperta di squame e termina in un piede formato da quattro artigli con la punta rivolta in alto e uno sperone rivolto in basso. Rudolf Schenda asserisce che, se si compara tale immagine con quella dell’asino-papa di Venceslao von Olmütz, calcografia del 1496, o con l’allegoria dei sette peccati capitali, appare chiaro che essa non rappresenta un essere reale, bensì, simbolicamente, la cattiveria umana o la presenza diabolica (13).

Mostro di Ravenna
Mostro di Ravenna

Poco dopo, sempre in Germania, appare una nuova xilografia, piuttosto simile alla precedente; nella sua legenda troviamo: “All’attenzione del pubblico. Una cosa mirabile e spaventosa delle terre italiane. Nell’anno dopo la nascita di Cristo nostro Signore 1512, il 27 febbraio, nacque un bambino da una suora presso la città di Firenze […]. Questo bambino ha le mani da pipistrello ed ha l’aspetto di un essere umano […]. E sulla testa ha un corno […]. Ed ha tre lettere sul cuore che formano la parola .I.X.V. e sotto la V. c’è una luna e sotto il cuore tre fiamme. Ha una gamba umana e sopra di essa, sul ginocchio, un occhio. Se quest’occhio si gira, girano pure quelli della faccia. L’altra gamba è come quella di un pesce e ha un piede con tre punte, e non si può capire se si tratta di una ragazza o di un ragazzo. È vissuto 40 giorni ed è morto in aprile, nel giorno chiamato Guperti. Questa singolare creatura ha meravigliato molti e nessuno, né persone colte né gente comune e ignorante, ha saputo interpretare questa cosa straordinaria e in particolare le tre lettere. Non si può sapere se abbia un significato buono o cattivo. E il bambino non ha mangiato nessun alimento per esseri umani, ma solo cose fatte di zucchero e altri cibi dolci. E nessuna madre è riuscita a dargli la pappa, come indicano le lettere e le notizie provenienti dalle terre italiane”. (14)

Ottavia Niccoli ipotizza che sia l’immagine francese sia quelle tedesche possano derivare da una fonte comune perduta, e che da un’altra fonte italiana, perduta anch’essa, derivi un altro gruppo di immagini, innanzitutto quella che correda un opuscolo di quattro carte contenente una composizione poetica in versi latini del palermitano Giano Vitale, dal titolo De monstro nato (15), pubblicato in almeno due edizioni nel 1512; poi quella di un foglio volante tedesco, oggi conservato a Norimberga, che è certamente un po’ più tardo degli altri perché fa cenno alla battaglia di Ravenna dell’11 aprile (16). Le immagini di questo gruppo presentano testa leonina e un piede di rana, come nelle descrizioni spagnole.

A una figura circolante a stampa dovette fare riferimento anche Conrad Wollfhart (Licostene), che la riprodusse in una sua opera stampata a Basilea nel 1577 (17); qui però il mostro appare un po’ diverso, cioè ha ali di uccello e non di pipistrello e ha una sola gamba che termina in un piede a forma di artiglio, seguendo una descrizione della creatura data nel 1512 da Johannes Multivallis da Tournai (Tornacensis). Quest’ultimo riferiva del mostro di Ravenna nel suo proseguimento della cronaca di Eusebio (18), descrivendolo appunto con un corno in testa, senza braccia ma con ali, un piede da rapace, un occhio in un ginocchio, il sesso incerto e in mezzo al petto le effigi della lettera Y e di una croce. Multivallis interpretava anche tale fisionomia: il corno, diceva, rappresenta la superbia, le ali la leggerezza e l’incostanza, la mancanza di braccia l’assenza di opere buone, il piede da rapace la rapina, l’usura e l’avarizia, l’occhio nel ginocchio l’attaccamento alle cose terrene, il sesso incerto la sodomia. Aggiungeva che questi segni indicavano anche guerra e sciagura per la peccaminosa Italia, per mano del re di Francia che avrebbe agito da strumento e flagello di Dio; riguardo alla Y e alla croce, affermava che la prima significa virtù, a dire che se l’Italia l’avesse ritrovata, recuperando i valori rappresentati dalla croce di Cristo, avrebbe avuto conforto e pace. Insomma, il Multivallis presenta una nuova immagine del mostro che lo vuole con una sola gamba, o meglio a quel modo si interpretò (forse erroneamente) la sua descrizione. Comunque sia, in seguito in tal modo verrà spesso raffigurato conservando anche il significato simbolico proposto, come troviamo ad esempio nelle Storie ravennati di Girolamo Rossi (che visse e scrisse nel Cinquecento) (19). Il brano venne ripreso e sintetizzato anche da un altro storico ravennate cinquecentesco, Tomaso Tomai (20).

Diversi altri autori successivi al Multivallis seguono il suo testo; Laurentius Surius invece, monaco cartusiano a Colonia, che scrive nei decenni successivi alla battaglia di Ravenna, opera modifiche collocando la nascita mostruosa a Ratisbona, pur collegandola alle sorti della città romagnola perché considera il mostro un presagio dei drammatici fatti d’arme ravennati del 1512 (21).

Non possiamo qui addentrarci in un lungo esame comparativo delle fonti, già eseguito egregiamente soprattutto dalla stessa Ottavia Niccoli, ai cui lavori rimandiamo. Ci basti riassumere che le descrizioni e raffigurazioni del mostro di Ravenna, comunque caratterizzate (con due gambe, con una gamba sola, con ali di pipistrello, di uccello, ecc.), non presentano caratteri originali ma si rifanno a modelli già proposti precedentemente. Nelle varie morfologie della creatura convergono stilemi allegorici già sperimentati, già utilizzati per nascite mostruose avvenute precedentemente altrove, e derivanti da tratti simbolici che non è impossibile individuare.

Nello specifico, le versioni che presentano il mostro con due gambe si rifanno a quelle illustranti il mostro che sarebbe nato a Firenze nel 1506; di questo rimangono raffigurazioni conosciute e circolate, ad esempio quella contenuta nei Diarii di Marin Sanudo alla data dell’agosto 1506, corredata anche di un disegno a colori (22), e altre in fogli volanti. Le immagini e descrizioni che vogliono il mostro con una gamba sola, invece, potrebbero rimandare ad ascendenti noti soprattutto in ambito tedesco, individuabili nell’iconografia di Frau Welt, allegoria del mondo peccaminoso di origine altomedievale, che ha le parti del corpo simboleggianti i sette peccati capitali (23). Insomma, non è escluso che a Ravenna nei primi giorni di marzo del 1512 sia nato davvero un bambino deforme (mancano comunque dirette testimonianze coeve locali), ma ciò che appare abbastanza certo è che le raffigurazioni che se ne diedero «furono quasi totalmente costruite con materiali figurativi preesistenti» (24).

Un aspetto da approfondire è quello degli usi politici che si fecero del “mostro”. Ottavia Niccoli mette in evidenza come, in alcune delle prime descrizioni, lo si voglia nato da una suora e da un frate, o semplicemente da una suora, attribuzione che poi, al passaggio attraverso il punto di irradiazione romano, presto scompare. Si può pensare a un’iniziale allusione antiromana alla corruzione del clero, ribadita anche nel citato scritto francese dell’Inoy. Allusione che celermente si cerca di annullare e anzi di ribaltare: già nei versi del De monstro nato di Vitale, artista legato alla corte pontificia, si vuole la Chiesa ridotta a mostro a causa dei Francesi; e nella terra ravennate, di influenza di Papa Giulio II, su cui i francesi stessi marciano, nasce un “mostro”. Annota Niccoli: «Il mostro, dunque, vale come incoraggiamento e sostegno della politica romana contro i Francesi e i loro alleati, in un frangente gravissimo della sede romana quale erano i primi mesi del 1512» (25).

Battaglia di Ravenna

Raffigurazione della Battaglia di Ravenna

 

Dopo la battaglia e il sacco di Ravenna dell’11 aprile di quell’anno, «una interpretazione filopapale e antifrancese del mostro aveva ormai poco senso; ed esso acquisì piuttosto il significato generico di indizio premonitore di grandi mali che stavano per ricadere su Ravenna e sull’Italia» (26).

Rudolf Schenda, nel suo lavoro sul “mostro di Ravenna”, scrive: “Le prime correnti razionalistiche del XVI secolo non gli potettero nuocere: era stato citato troppo spesso per non essere ritenuto vero, era troppo incomprensibilmente complicato per non essere possibile al volere di Dio e troppo raccapricciante e bello allo stesso tempo per non essere amato dalle persone colte e ignoranti”. (27)

È vero: «troppo raccapricciante e bello», troppo interessante ed emblematico per non destare interesse, per non scriverne e riscriverne, per non eleggerlo addirittura a simbolo della mentalità e della storia di un’epoca, oltre che di una drammatica fase storica per la città di Ravenna. Mai come in questo caso, insomma, un “mostro” merita una mostra.

Baldini

LE FONTI

11 – Les avertissemens et trois estatz du monde selon la signification de un monstre ne lan mille, v. cens et xij. Par lequelz on pourra prendre avis a soy regir a tousioursmais, Iehan Belon, Valence 1513.
12 – R. Schenda, Il mostro di Ravenna, in Id., Folklore e letteratura popolare: Italia-Germania-Francia, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1986, pp. 31-56: 32.
13 – Ivi, pp. 32-33.
14 – Ivi, pp. 33-34.
15 – Ioannes Franciscus Vitalis Panormitanus, De monstro nato, s.l., s.d. Un’altra edizione, dissimile solo per pochi versi, fu pubblicata nel luglio del 1512 a Erfurt.
16 – La sua riproduzione è in G. Ecker, Einblattdrucke von den Anfängen bis 1555, Kümmerle, Göppingen 1981, I, allegato n. 67.
17 – C. Wolffhart (Lycosthenes), Prodigiorum ac ostentorum chronicon, per Henricum Petri, Basileae 1557, p. 517.
18 – Eusebii Caesariensis Episcopi Chronicon […]. Ad quem et Prosper & Matthaeus Palmerius & Matthias Palmerius demum & Ioannes Multivallis complura quae ad haec usque tempora subsecuta sunt adiecere, Henricus Stephanus, Genève 1512, pp. 175-176.
19 – G. Rossi, Storie ravennati, traduzione e cura di M. Pierpaoli, Longo, Ravenna 1997, p. 686.
20 – T. Tomai, Historia di Ravenna, appresso Francesco Tebaldini da Osimo, in Ravenna 1580, pp. 125-126.
21 – L. Surius, Kurtze Chronick oder Beschreibung der vornembsten und geschichten, s.e., Cöln 1568, fol. 35.
22 – M. Sanuto, Diarii, cit., VI, col. 390.
23 – R. Schenda, Il mostro di Ravenna, cit., passim; O. Niccoli, Profeti e popolo, cit., pp. 63-69.
24 – O. Niccoli, Profeti e popolo, cit., p. 63.
25 – Ivi, p. 73.
26 – Ivi, p. 75.
27  – R. Schenda, Il mostro di Ravenna, cit., pp. 49-50.

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