Reddito di solidarietà: accolte già 1700 domande in due mesi in Emilia-Romagna

Sette su dieci sono presentate da italiani. Delle 6059 arrivate ai servizi sociali a livello territoriale sono state 591 a Rimini, 573 a Ravenna e 477 a Forlì-Cesena

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Il reddito di solidarietà, in Emilia-Romagna, è un aiuto vero e concreto per chi è alle prese con pesanti difficoltà economiche. In due mesi, infatti, delle 6.059 richieste arrivate, 1.700 sono quelle già accolte, con le restanti in corso di valutazione ma con buone possibilità di risultare idonee, visto che le respinte finora non sono andate oltre il 15%. E si prosegue con una media di 800 domande alla settimana. Una misura al momento diretta soprattutto ai cittadini italiani, che rappresentano il 70% dei beneficiari, rispetto al 30% distribuito fra residenti comunitari e extracomunitari. 

Ma anche uno strumento in grado di far emergere aree di povertà ancora poco conosciute, come quella delle famiglie spesso prive di minori e composte da uno o due adulti, con almeno uno che lavora in maniera precaria o mal pagata, i cosiddetti woorking poor. 

E’ quanto emerge dall’elaborazione dell’Università di Modena e Reggio Emilia, che ha esaminato il periodo d’avvio del Res (18 settembre-28 novembre), prendendo in considerazione le domande ricevute dai servizi sociali dei Comuni e l’esito dei controlli effettuati dall’Inps, a cui spetta l’ultima parola per l’assegnazione del sussidio. Da qui i dati e il profilo di chi ha richiesto il Res, la misura fortemente voluta dalla Regione e varata con l’approvazione della legge regionale sulle ‘Misure di contrasto alla povertà e sostegno al reddito’, da un minimo di 80 euro fino a un massimo di 400 euro al mese per i nuclei familiari composti da 5 o più membri e con un Isee inferiore ai 3 mila euro. 

In Emilia-Romagna, nei primi due mesi si sono registrate 6.059 domande per ottenere il Reddito di solidarietà. Partito a metà settembre, quasi 2.000 richieste hanno già ottenuto il via libera dall’Inps, che ne ha giudicate 1.692 idonee al finanziamento del Res e 225 al Sia, il sostegno all’inclusione attiva, la misura nazionale riservata a nuclei familiari con minori. Sulle restanti 4.000 domande sono tuttora in corso i controlli. In sostanza, senza il reddito di solidarietà voluto dalla Regione sarebbero state poco più di un decimo le persone ad aver avuto un sostegno contro la povertà.   I richiedenti si dividono pressoché alla pari fra uomini, 50,6%, e donne, 49,4%, persone con più di 45 anni, 65,7%, e nella gran parte dei casi, il 69%, senza minori a carico. E’ la fotografia di chi è stato ammesso al Res, persone che vivono in situazione di grave povertà, che faticano ad arrivare a fine mese, spesso con in comune il dramma della disoccupazione. 

A livello territoriale, le richieste arrivate ai servizi sociali sono state: 1.556 per la provincia di Bologna, 912 a Modena, 591 a Rimini, 573 a Ravenna, 571 a Reggio Emilia, 514 a Ferrara, 497 a Parma, 477 a Forlì-Cesena e 368 a Piacenza.

“Si tratta di una misura di civiltà, che va dritta al cuore di chi ha bisogno – sottolinea il presidente della Regione, Stefano Bonaccini -. In questi anni abbiamo lavorato per non lasciare indietro nessuno, per coniugare la crescita con la coesione sociale. Oggi che il Reddito di solidarietà è realtà, non solo abbiamo accompagnato e in gran parte anticipato l’impegno del Governo sulla lotta alle diseguaglianze, ma siamo di fronte a un fatto decisivo e cruciale per quei nuclei familiari, e pensiamo di raggiungerne circa 30 mila nel giro di un anno, che nella nostra regione vivono la quotidianità alle prese con difficoltà che dobbiamo fare di tutto per alleviare”.  

Questo strumento, continua Bonaccini, “vuole dare una risposta concreta a chi si trova davvero in situazioni di disagio, favorendone al contempo l’inserimento lavorativo. Il Res, infatti, va oltre il contributo economico, pur importante, perché impegna chi lo riceve a stringere con noi un ‘patto’ per ritrovare l’autonomia e reinserirsi nella società”. “Non siamo di fronte all’elargizione di un mero contributo economico – conclude il presidente della Regione – ma a una opportunità che va data a chi ha bisogno, al tentativo vero di non lasciare indietro nessuno”. 

“Dopo l’enorme lavoro messo in campo da parte di tutti, tra operatori dei Comuni e della Regione, finalmente è partito il nuovo pilastro del welfare regionale e cioè i servizi e gli aiuti contro le diseguaglianze e la povertà assoluta – spiega la vicepresidente e assessore al Welfare, Elisabetta Gualmini -. Un cambiamento radicale del modo di lavorare e di affrontare i bisogni dei cittadini che sta dando i suoi frutti; le domande continuano a essere moltissime e stiamo facendo di tutto per dare risposte a tutti in tempi ragionevoli. E una direzione nuova e inesplorata che diventerà un tratto distintivo della storia della nostra regione per i prossimi anni”.  

“I primi dati reali rispetto Res – commenta anche Igor Taruffi, consigliere di Sinistra Italiana e primo firmatario della norma regionale assieme al capogruppo Pd, e relatore della legge, Stefano Caliandro – smentiscono le preoccupazioni e le critiche che si erano levate inizialmente”, e dimostrano che “nel proporre questa iniziativa e nel portarla avanti ci abbiamo visto giusto”. “Si diceva – continua Taruffi – che le richieste sarebbero arrivate soprattutto da cittadini extracomunitari, e non è così, né è vero che sono coloro che non hanno voglia di rientrare nel mondo del lavoro a chiedere questo sussidio, perché i dati dimostrano che molte famiglie e molti single occupati hanno fatto domanda poiché non riescono ad arrivare alla fine del mese”. Questa norma, aggiunge Taruffi, “viene da un confronto tra Pd, Si e le altre forze politiche, ed è un esempio di come si possano ottenere buoni risultati legislativi”.   Sono due le misure di contrasto alla povertà previste: il Sia, attivo su tutto il territorio nazionale da settembre 2016, e il Res, voluto dalla Regione. Poiché il Sia si rivolge a una platea di beneficiari non esaustiva rispetto alle caratteristiche del fenomeno povertà in Emilia-Romagna, la scelta della Regione è stata quella di ampliarla in un’ottica universalista, includendo anche i nuclei senza minori o con figlio disabile. Una decisione assunta anche per ottimizzare l’utilizzo delle risorse nazionali e regionali disponibili: infatti il reddito di solidarietà è pensato in modo tale da collocare sui provvedimenti nazionali, il Sia, e dal prossimo anno il Rei, cioè il reddito per l’inclusione attiva, tutti i beneficiari attribuibili a questa misura, così da non ‘sovraccaricare’ le risorse del Res.   “L’obiettivo – sottolinea Caliandro – è comprendere lo stato di bisogno in Emilia-Romagna, aiutare quelle persone che causa un mercato del lavoro strozzato hanno difficoltà a reinserirsi”. Con questo provvedimento, continua Caliandro, “non diamo solo un reddito, diamo la possibilità alle persone di ricollocarsi e di ripartire”. E in merito alle risorse totalmente erogate dalla Regione, aggiunge, “nella seduta del 21 dicembre in Assemblea legislativa sull’esame del Bilancio 2018 e pluriennale dell’Ente, verrà proposto di estendere i 35 milioni l’anno per il finanziamento del Res anche al 2020”.   

Circa la metà dei nuclei familiari finora ammessi al Reddito di solidarietà è composta da una sola persona e oltre i due terzi, 69%, non ha minori a carico. Il 14,2% ha un minore, l’11,9% due, e solo l’1,1% ha più di quattro figli. Per quanto riguarda l’età, un terzo delle famiglie ha un richiedente con almeno 56 anni e circa il 60% con più di 45 anni. Sono le donne a chiedere più frequentemente, 68,4%, i contributi previsti dalla misura nazionale Sia, riservata a nuclei con minori, mentre per il Res le domande vengono presentate da uomini, 50,6%, e donne, 49,4%, in percentuali simili.  

Infine, a beneficiare di entrambi i contributi sono famiglie in cui almeno un componente lavora, 61,5%, anche se in modo precario o poco pagato. Il Res sembra quindi in grado di raggiungere anche molti ‘working poor’, cioè persone povere malgrado vivano in famiglie in cui sono presenti redditi da lavoro. Al di sotto della media nazionale, anche per la tenuta complessiva e la ripresa produttiva e occupazionale degli ultimi anni, in Emilia-Romagna il tasso di povertà relativa è comunque passato negli anni della crisi economica dal 2,2% del 2009 al 4,5% del 2016. Secondo i calcoli del servizio statistico della Regione, si tratta di circa 200mila persone che hanno difficoltà a procurarsi beni e servizi. Sono invece 65mila le famiglie, il 3,3% in Emilia-Romagna, 6% in Italia, al di sotto della soglia di povertà assoluta, ovvero che non hanno reddito sufficiente a soddisfare i bisogni essenziali: per lo più persone sotto i 35 anni o tra i 35 e i 49 anni con minori a carico. A questo si somma il dato dell’emarginazione adulta che, secondo le stime dell’Istat rielaborate dall’Università di Modena e Reggio Emilia, riguarda oltre 4.000 senza fissa dimora.

Destinatari della misura sono i nuclei familiari con Isee, cioè l’indicatore della situazione economica equivalente, inferiore a 3 mila euro e la residenza in regione da almeno 24 mesi. Oltre alla componente economica mensile, che oscilla tra gli 80 euro per le persone sole e i 400 per le famiglie, il reddito di solidarietà si concentra sull’inserimento sociale e lavorativo delle persone che lo chiedono; prevede infatti progetti personalizzati di attivazione e inclusione sociale e lavorativa, predisposti con la regia dei servizi sociali e finalizzati all’affrancamento dalla condizione di povertà. Il reddito di solidarietà dura al massimo un anno; per poterne fare nuovamente richiesta, devono passare almeno 6 mesi. 

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